martedì 15 marzo 2005
lunedì 14 marzo 2005
Sowing The Seeds Of Love
Una volta intervistai una vecchietta che gestiva un negozio di cesti di vimini, ma quel posto era pieno di ninnoli strani d'ogni tipo. Lei in realtà non aveva usufruito dei fondi stanziati, e dovevo chiederle perchè. Mi raccontò la triste storia della sua famiglia, e dei parenti cattivi che le avevano rubato l'eredità della sorella, compresi i suoi ricordi più cari. In quel caso, e non fu l'unico, feci più il consulente familiare che l'intervistatore mandato dalla Provincia di Udine, ma non mi dispiaceva affatto. Spesso tutte queste persone avevano delle cose da raccontare molto più interessanti del sapere che fine avesse fatto qualche migliaio di euro dell'Unione Europea. Anche perchè gli agriturismi, a ben vedere, non è che funzionassero proprio granchè bene. La maggior parte di chi aveva beneficiato dei fondi ne aveva approfittato per restrutturare la casa, e quella vecchina avrebbe fatto aggiustare la casa della sorella defunta, la casa che un tempo era di sua madre e nella quale era cresciuta, se quel cognato mostruoso non gliel'avesse usurpata per lasciarla abbandonata come una catapecchia qualsiasi. Le comprai una fatina verde, perchè se davvero esiste al mondo una vecchina come quella delle fiabe, è lei.
Frantumare le distanze, superare resistenze
E riconoscersi per creare
Camminare senza chiedersi perchè
Il tuo viso, le mie mani
Sono la stessa gioia immensa
E' luce invisibile da succhiare
Camminare senza chiedersi perchè
E fermarsi un istante per considerare
Che il respiro è un dettaglio che ci rende uguali
Come cerchi nell'acqua che non sanno nuotare
Si infrangono
Frantumare le distanze, superare resistenze
E riconoscersi per creare
Camminare senza chiedersi perchè
E fermarsi un istante per considerare
Che ogni istante si scioglie in quello a venire
Come cerchi nell'acqua che non sanno nuotare
Si infrangono, si infrangono...
Se sapessi quante notti
passo a ripensare a te
quanto tempo e quanto spazio invece
passano di giorno
avrei voluto, avrei potuto
e ancora non vorrei
sarà il fiato che mi manca
o forse non ne ho
a me da questa parte del telefono
a me da questa parte...
gli anni sono i tuoi capelli
un po’ più lunghi e poi tagliati
ed io li ho visti, immaginati
senza avvicinarmi mai
non so dire se desidero
per me soltanto un vuoto
o se è l’immenso desiderio
senza fine che ho di te
di te da questa parte del telefono
di te da questa parte...
Sowing the seeds of love
domenica 13 marzo 2005
L’ombra e la grazia
Non ho più speranze
In me c'è la notte più nera
Chiara, il mio primo amore platonico. O forse non era il primo, se contiamo la ragazzina con la pelliccia che veniva a catechismo con me, quando preparavamo la prima comunione. Ma a quella non avevo mai parlato, a Chiara si. Ricordo ancora il primo giorno in cui la vidi. Eravamo a casa di Giorgio, un mio amico, e avevamo organizzato una festa per conoscere delle ragazze, quasi tutte della mia scuola. Lei aveva i pantaloni marroni, una giacca a quadretti in tinta e una camicetta rosa col pizzo da bambina. Non un filo di trucco, e un ciuffo di capelli castani che ogni tanto le cadeva sugli occhi. Il suo era il sorriso, innocente e malizioso allo stesso tempo, di Sophie Marceau nel Tempo delle mele. E i miei erano gli occhi di chi si sazia con uno sguardo. Mi bastava vederla camminare, ridere, scherzare con le amiche per essere felice di essere lì, in quella stanza. Ricorderò sempre il momento in cui mi si avvicinò, come se volesse dirmi qualcosa di importantissimo: "Mi potresti mettere una canzone?". Io mi sarei tagliato di netto il pollice con un coltello da cucina lì all'istante, se me l'avesse chiesto. Risposi: "Si".
Il problema però non era solo individuare quella stella tra milioni di stelle e ricordarsene. Il problema era che lei non aveva mai saputo nulla di quella stella. Decisi che le avrei dato quel libro, ma quando lo rilessi mi vergognai e lo richiusi in un pacco di cartone della Sweet Music, il mailorder che usavo per ordinare i cd all'epoca. E lì rimase per anni e anni senza che mai nessuno lo aprisse.
Ci pensai un po' su e poi lessi: "Bellezza". Ma in quel momento non pensavo a un concetto di bellezza astratta, o idealizzata. Pensavo a lei.
Leni Riefenstahl, con il suo balletto mistico e sensuale di fronte al mare nel film Der Heilige Berg di Arnold Franck (1926, in italiano La Montagna dell'Amore) riuscì a far dire ad Adolf Hitler che quella era una delle cose più belle che avesse mai visto. Il personaggio femminile interpretato da Leni Riefenstahl si chiama Diotima, e durante le riprese non c'erano controfigure. Tutte le scene più pericolose (Diotima scala montagne, pratica una sorta di free climbing a piedi nudi, viene travolta da valanghe, sfida i rigori del ghiaccio a 28 gradi sotto lo zero) sono filmate direttamente senza nessun artificio.
Se non la grazia, della ballerina aveva l'inafferrabilità di chi cerca di sfuggire, con movimenti a volte quasi impercettibili, a volte ariosi e potenti, non tanto alle leggi della gravità quanto a quelle del tempo, permettendo a chi guarda di fare altrettanto. Per questo, credo, non potrò mai ringraziarla abbastanza. Ma naturalmente non glielo dirò mai.
Fin quando si può concepire, volere, desiderare, il bello non appare.
Questa è la ragione per cui, in ogni bellezza, c'è contraddizione, amarezza, assenza irriducibili.
mercoledì 2 marzo 2005
Alla ricerca di sé
Ogni uomo porta in se stesso una camera.
È un fatto di cui il nostro stesso udito ci dà conferma.
Quando si cammina in fretta e si tende l'orecchio, specie di notte,
quando intorno a noi tutto è silenzio, si ode, ad esempio,
il tintinnio di uno specchio a muro non fissato bene.
Franz Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, in Confessioni e diari, Mondadori, p. 694
La porta si apre e il calore di una stanza viva mi invade, fiaccando ancora di più le mie residue forze. Poggio lo zaino, bevo un bicchiere d'acqua in piedi. Dico qualcosa per educazione, ma sono concentrato soltanto a cercare di regolarizzare il respiro. Conto: uno, due, tre. Uno, due, tre. Ecco, ora comincio a ragionare. E siccome l'ospite deve ristorarsi dopo il lungo viaggio, mangio e bevo un po’ di vino. Dopo cena, sorseggiando un caffè, il mio interlocutore si avventura in una discussione stimolante: i sogni. Ad un tratto si sente un rumore, un tintinnio, ma non si capisce bene da dove venga. "Saranno i vicini, o forse è caduto qualcosa nella stanza di là", dice lui. La conversazione riprende nel dubbio, ma io invece so cos'era. Doveva essere caduto qualcosa nella stanza che mi porto sempre appresso. Dentro di me, ogni giorno, mentre cammino. Forse un colpo di vento, forse un gatto. Allora sono entrato un attimo dentro a vedere cosa poteva essere successo...
La mia camera, nel luglio del 2003.
Pingu: Buongiorno dottore.
LDZ: Buongiorno, buongiorno, si sieda. Benissimo, vediamo, oggi vorrei che continuassimo a parlare dell'argomento di cui mi ha solo accennato alla fine della scorsa seduta, non so se ricorda...
Pingu: La mia ossessione per il dente rotto?
LDZ: Bravo, si, intendevo proprio quello. Era venuta fuori un'interessante correlazione tra questa sua, come ha detto, ossessione per il dente che si era scheggiato poco tempo fa e le insicurezze che l'avevano accompagnata fin da piccolo. Provi a raccontarmi qualcosa con le sue parole. Non si preoccupi, tengo acceso il registratore solo per prendere qualche appunto. Lo ascolteremo solo io e la dottoressa Amato, che poi sbobinerà il nastro.
Pingu: Dunque, le dicevo che poco prima della laurea mi scheggiai un dente mangiandomi le unghie, uno dei due davanti. Vede? Proprio questo. Lì per lì mi preoccupai e presi appuntamento con la mia dentista, che mi propose di ricostruirlo con una specie di gelatina applicata sul dente che poi si solidifica, e in un'ora fece il lavoro. Purtroppo durò solo pochi giorni, e il dente si ruppe ancora nello stesso punto. La dottoressa mi disse che ogni ricostruzione era inutile per una mia tendenza a digrignare i denti di notte, mentre dormo. L'ha chiamata...
LDZ: Bruxismo?
Pingu: Si, esattamente. Io non le dissi che mi si era spezzato tutte e due le volte mentre mi mangiavo le unghie. Evidentemente la colla usata non teneva abbastanza, almeno finchè non avessi smesso di mangiarmele. La dottoressa mi propose o un apparecchio da mettere ogni sera mentre dormivo o di farmi rivestire il dente di porcellana, dopo averlo limato. Rifiutai la prima ipotesi dicendole che non l'avrei mai messo, quell'apparecchio. Oppure a quel punto avrei dovuto tenerlo tutto il giorno, per evitare di mangiarmi le unghie quando ero nervoso. Rifiutai anche la seconda ipotesi, per l'alto costo e perchè l'idea di far limare un dente sano mi faceva venire i brividi. Così tenni quel piccolo difetto, che come vede ho ancora, ma lo scenario descritto dalla mia dentista di me che digrignavo i denti la notte mi causava non poche ansie. Appena sveglio, la mattina, toccavo il dente con la lingua ancora in dormiveglia, per accertarmi che non si fosse scheggiato ancor di più. Di giorno poi appena incrociavo uno specchio mi fermavo a guardare il dente, per scrutare ogni più piccola differenza dalla volta precedente. E il fatto di non notare nulla di diverso non bastava a tranquillizzarmi, anzi.
LDZ: Hai mai sognato di rompersi i denti, in quel periodo?
Pingu: Certo, moltissime volte. Non sono ancora convinto di digrignare i denti di notte, ma se mai ho iniziato a farlo è stato dopo quei fatti.
LDZ: Ma cosa le dava più fastidio, del suo dente rotto?
Pingu: Beh, a parte sentire qualcosa di appuntito sotto la lingua ogni volta che lo sfioravo, nulla. Certo, rimaneva il disagio di farmi vedere col dente rotto in pubblico, naturalmente.
LDZ: Ritiene che sia un difetto così rilevante agli occhi degli altri?
Pingu: Ma, ora molto meno, ma allora mi sembrava di si. Cercavo di aprire poco la bocca, per non farlo notare, ma non sempre era facile, anzi, attiravo ancora di più l'attenzione, credo.
LDZ: Le è mai capitato qualche episodio spiacevole per colpa di quel dente?
Pingu: No, direi di no. In parte mi ricorda un episodio della mia infanzia, quando soffrivo molto per un neo che avevo sotto l'occhio. Alle elementari no, ma alle medie spesso i compagni mi prendevano in giro per quel neo, e io odiavo quel mio segno di diversità. Volevo non avere difetti per essere come tutti gli altri, anche se chiunque ha dei difetti, in fondo. Ma allora stavo male perchè esteriormente mi sentivo diverso, seppur in un solo piccolo e insignificante particolare.
LDZ: E come affrontò la cosa?
Pingu: Beh, dovetti insistere con i miei genitori per farmelo togliere, dopo gli esami di terza media, così avrei iniziato le superiori con dei nuovi compagni che non potevano sapere nulla. Fu una cosa breve e indolore, mi è rimasto ancora il segno. Una piccola cicatrice, qui, proprio sotto l'occhio.
LDZ: E dopo cambiò qualcosa?
Pingu: Non più di tanto...
Il mio dente rotto
LDZ: Ora le spiego brevemente una cosa. Freud sosteneva che lo sviluppo psicosessuale del bambino avviene attraverso varie fasi. Il primo stadio, quello orale, è contraddistinto da uno stato d’immaturità e di totale dipendenza del neonato che vive ancora in simbiosi con la madre. Un soggetto, in un particolare periodo della sua vita, qualora si trovi di fronte a un ostacolo che non riesce per qualche motivo a superare, per reazione può in parte regredire alle fasi dello sviluppo sessuale precedenti. Ciò può causare dei conflitti che rischiano di generare patologie più gravi quali nevrosi, psicosi, fino alla follia vera e propria. Le faccio questo discorso perchè questa sua ossessione per i denti, questa sua insicurezza nel guardarsi la bocca allo specchio, mostra secondo me evidenti aspetti orali che spesso si riscontrano anche nei pazienti depressi. E lei, da quanto mi ha detto, ha sofferto di depressione negli ultimi anni, vero?
Pingu: Si, più o meno in questo stesso periodo, l’anno passato, per via di quella ragazza di cui le ho parlato la prima volta, ricorda?
LDZ: Si, certo. Come si ricorderà, nella nostra prima seduta mi ha detto che durante il periodo passato con quella ragazza, quando Lei era depresso era tuttavia instancabile nella sua ricerca d’amore. Si nutriva dell’oggetto del suo amore, e la sua stima di sé dipendeva unicamente o quasi dalla relazione con quell’oggetto. Di fronte al fallimento di quel rapporto è sprofondato nella melanconia senza riuscire a elaborare la perdita dell’oggetto e il lutto che ne consegue. E in questo caso la coincidenza temporale tra il declino della sua relazione e l'ossessione per il dente rotto non può passare inosservato...
Pingu: Si, forse ha ragione... Ma senta, il mancato superamento o la regressione alla fase orale può comportare anche disturbi di tipo... sessuale?
LDZ: In certi casi sicuramente, ma se fossi in lei non mi preoccuperei troppo di questo. E non si preoccupi se ha manifestato una preferenza verso il sesso orale attivo o passivo (sorride), le assicuro che è una cosa molto diffusa e non è affatto una patologia...
LDZ: Il problema nel suo caso è un'altro. Kierkegaard diceva che una giovane donna che perde il fidanzato, se si dispera, non prova dolore per il fidanzato perduto, ma per il Sé-senza-fidanzato. È il senso di fallimento personale, di impotenza e di inutilità che fa disperare, più dell’abbandono in sé. E, nel suo caso, prolungare psichicamente l'esistenza della donna che ha perduto tramite ricordi e aspettative un tempo legate a lei rende molto più difficile il distacco. Può anche darsi che l'oggetto non sia morto davvero, ma sia andato perduto come oggetto d'amore, no? Come diceva Freud, als Liebesobjekt...
Pingu: Già, als Liebesobjekt... Quindi secondo lei farei bene a chiamarla, senza però pensarla più come oggetto d'amore?
LDZ: Non vorrei che prendesse le mie parole come i consigli letti in una rubrica di cuori solitari, non è questo il punto. Prima di chiamarla dovrebbe aver ben chiaro che la sua autostima non può essere legata soltanto a una persona che ha conosciuto poco più di un anno fa, tutto qui. E che lei non è un uomo peggiore di com'era prima di averla incontrata, anzi.
Pingu: Si dottore, io credo di essere pronto per un passaggio del genere. Tra l'altro, non so se può esserci un legame tra le due cose, ma ho anche smesso di mangiarmi le unghie. Ora che il dente rotto è diventato più affilato mi facevo anche un po' male alle dita, e così ho smesso.
LDZ: Un buon inizio, direi che è un buon inizio...
Un acquarello di Karin boye intitolato Liv och död
Tutto a un tratto torno in me come svegliato all'improvviso da un sogno. Sono seduto sul divano che dovrò presto trasformare nel mio giaciglio per questa notte. La bottiglia di vino è finita da un pezzo, ma è ancora presto per andare a dormire. C'è tempo per vedere un film che avevo portato con me nello zaino. Infilo il dvd nel lettore, chiudo le luci e, stanco e un po' assopito, mi immergo nelle immagini che scorrono sullo schermo.
Marlin: Io devo trovare quella barca!
Dory: Una barca? Io l'ho vista una barca.
Marlin: L'hai vista?
Dory: Aha, è passata di qui un attimo fa.
Marlin: Era bianca?
Dory: Ciao. Sono Dory.
Marlin: Dove? Dove?
Dory: Oh, oh, oh. È andata...di là. È andata da quella parte. Seguimi!
Marlin: Grazie, grazie, mille volte grazie.
Dory: Figurati.
Marlin: Hey, aspetta!
Dory: Vuoi piantarla?
Marlin: Cosa?
Dory: Sto nuotando. L'oceano non è abbastanza grande per te?
Marlin: Eh?
Dory: Hai qualche problema, amico? Eh? Eh? Allora? Allora? Allora?
Ce l'hai con me? Si, si, oh, adesso si che ho paura.
Allora? Piantala di seguirmi, capito?
Marlin: Ma di che cosa stai parlando, mi facevi vedere dov'era andata la barca.
Dory: Una barca? Hey, io l'ho vista una barca, è passata di qui un attimo fa.
È andata... di là. È andata da quella parte. Seguimi!
Marlin: Un momento, aspetta un momento. Che cosa stai facendo,
me l'hai già detto da che parte è andata la barca.
Dory: Già detto? Oh, no...
Dory: Mi dispiace tanto, ma io soffro di perdite di memoria a breve termine.
Marlin: Perdite di memoria a breve termine? Non ci posso credere.
Dory: No, è vero! Dimentico le cose all'istante. Tutti così in famiglia.
Beh, insomma almeno credo che tutti... Ah... Che fine hanno fatto...
Posso aiutarla?
Marlin: Tu hai qualcosa che non va, davvero. Mi fai solo perdere tempo.
e la terrò sempre con me, sarà la mia piccola giuggiola.
Marlin: Non voglio toccare, voglio solo guardare.
Dory: Hey, come mai te non ti ha punto?
Marlin: Mi ha punto, solo che...
Dory: Ahi, ahi, ahi!
Marlin: Ferma! Io abito dentro un anemone, sono abituato a queste punture.
Dory: Ahi, ahi, ahi!
Marlin: Ferma! Non mi sembra grave, passerà presto.
Però d'ora in poi lo sappiamo. Non dobbiamo toccarle mai più.
Meno male che si trattava di una medusa piccola.
Dory: Fermati! Non te ne andare. Ti prego. Nessuno finora è mai rimasto così a lungo con me.
E se tu te ne vai, se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero!
Stà a sentire: Fisherman 42... Uh, 42... Ah, me lo ricordo! Lo giuro, è qui!
Perchè quando ti vedo... Me lo sento, quando ti vedo io... mi sento a casa.
Ti prego, non voglio perdere tutto questo. Non voglio dimenticare.
Marlin: Mi dispiace Dory, ma io... Si.