lunedì 14 marzo 2005

Sowing The Seeds Of Love

Marzo per me è sempre stato un mese di spostamenti, non saprei perché. Forse è solo un caso, ma è come se in questo periodo uscissi dal lungo letargo invernale e sentissi il bisogno di aprire le finestre e respirare a pieni polmoni l'aria di nuovi cambiamenti. L'anno scorso, tra febbraio e marzo, stavo facendo il primo lavoro ben retribuito della mia vita. Per un mese dovevo andare in giro per i piccoli paesini sperduti della montagna qui in Friuli a controllare com'erano stati spesi i soldi dei finanziamenti dell'Unione Europea. Detto così aveva il suo fascino, ma in realtà non ero proprio questo potente esattore temuto da tutti che andava a riscuotere le sue gabelle nelle provincie dell'Impero. Andavo semplicemente col mio registratorino portatile a casa di chiunque avesse usufruito dei finanziamenti per aprire agriturismi o cose simili e gli chiedevo di raccontarmi la sua esperienza. Non avevo mai avuto esperienze del genere, e con qualche dubbio iniziai a contattare le persone che avevo in lista. Arrivato il giorno del primo appuntamento, mentre passeggiavo in mezzo alla neve per trovare la cascina dove abitava il tizio che avevo contattato per quel pomeriggio, mi accorsi di avere la febbre alta. Riuscii a fare comunque la mia intervista, salii in macchina, raggiunsi l'autostrada, mi fermai in una piazzola di sosta e vomitai per circa 10 minuti. Poi tornai a casa guidando a 20 km all'ora, mi misi a letto con un secchio vuoto vicino dove vomitare ogni tanto e annullai tutti gli altri impegni della settimana. Non lessi in quell'influenza intestinale nessun messaggio di ostilità verso quel pur temporaneo lavoro. Ero deciso ad andare fino in fondo, anche perchè devo dire che non era poi così male...


Le settimane seguenti andarono meglio, in montagna c'erano le ultime nevicate, ma certi giorni sembrava che ci fosse già un sole primaverile. Le persone che intervistavo erano sempre molto gentili, spesso ci facevamo allegre bevute, così ad un certo punto spegnevo il registratore e ci abbandonavamo a quattro chiacchiere sulla montagna, che tutte queste persone amavano tanto da decidere di viverci, nonostante la desolazione di certi posti.
Una volta intervistai una vecchietta che gestiva un negozio di cesti di vimini, ma quel posto era pieno di ninnoli strani d'ogni tipo. Lei in realtà non aveva usufruito dei fondi stanziati, e dovevo chiederle perchè. Mi raccontò la triste storia della sua famiglia, e dei parenti cattivi che le avevano rubato l'eredità della sorella, compresi i suoi ricordi più cari. In quel caso, e non fu l'unico, feci più il consulente familiare che l'intervistatore mandato dalla Provincia di Udine, ma non mi dispiaceva affatto. Spesso tutte queste persone avevano delle cose da raccontare molto più interessanti del sapere che fine avesse fatto qualche migliaio di euro dell'Unione Europea. Anche perchè gli agriturismi, a ben vedere, non è che funzionassero proprio granchè bene. La maggior parte di chi aveva beneficiato dei fondi ne aveva approfittato per restrutturare la casa, e quella vecchina avrebbe fatto aggiustare la casa della sorella defunta, la casa che un tempo era di sua madre e nella quale era cresciuta, se quel cognato mostruoso non gliel'avesse usurpata per lasciarla abbandonata come una catapecchia qualsiasi. Le comprai una fatina verde, perchè se davvero esiste al mondo una vecchina come quella delle fiabe, è lei.



Il lavoro durò circa un mese, tra febbraio e marzo, e guidare in quei posti mi dava un'ebbrezza tutta particolare: i fiocchi di neve, andare piano per non scivolare sul ghiaccio in un burrone, il sole riflesso su quel manto bianco che quasi accecava... Insomma, dopo mesi di inattività e grigiore mi sentivo rinato, pronto a qualsiasi cosa, pronto a cambiare davvero vita. Ed ero stregato dal cd che ascoltavo sempre, durante quei viaggi. Era Piccoli fragilissimi film di Paolo Benvegnù.

Cerchi nell'acqua

Frantumare le distanze, superare resistenze
E riconoscersi per creare
Camminare senza chiedersi perchè

Il tuo viso, le mie mani
Sono la stessa gioia immensa
E' luce invisibile da succhiare
Camminare senza chiedersi perchè

E fermarsi un istante per considerare
Che il respiro è un dettaglio che ci rende uguali
Come cerchi nell'acqua che non sanno nuotare
Si infrangono

Frantumare le distanze, superare resistenze
E riconoscersi per creare
Camminare senza chiedersi perchè


E fermarsi un istante per considerare
Che ogni istante si scioglie in quello a venire
Come cerchi nell'acqua che non sanno nuotare
Si infrangono, si infrangono...


Quando finii quel lavoro e consegnai le interviste non mi sentivo di nuovo libero, perché la libertà di non avere impegni è spesso una prigione ancora peggiore dell'averne troppi. Dipendere da qualcosa o da qualcuno significava per me avere degli obiettivi che da solo non ero in grado di pormi. Allora organizzai altri viaggi, alcuni li sognai soltanto, ma in quel momento sarebbe bastato un attimo, una parola, un gesto perchè decidessi di partire e di affrontare la vita come non avevo mai fatto. Allo stesso tempo sarebbe bastato un rifiuto, una cosa non detta, un cellulare spento per bloccare sul nascere quello che ancora doveva iniziare. Non potevo fare una rivoluzione nella mia vita per me soltanto. Aspettavo una popolazione oppressa da salvare, per prendere in mano le armi, o anche un bastone trovato per terra, e combattere per il mio ideale. Quella popolazione oppressa aveva un nome e un indirizzo, e non rispose alla telefonata in cui le avrei chiesto se potevo salvarla. A volte penso che sia la stessa persona di cui parlano i Perturbazione, nel loro ultimo disco. La ascolto sempre in treno, in questo periodo.

Seconda Persona

Se sapessi quante notti
passo a ripensare a te
quanto tempo e quanto spazio invece
passano di giorno

avrei voluto, avrei potuto
e ancora non vorrei
sarà il fiato che mi manca
o forse non ne ho

a me da questa parte del telefono
a me da questa parte...

gli anni sono i tuoi capelli
un po’ più lunghi e poi tagliati
ed io li ho visti, immaginati
senza avvicinarmi mai

non so dire se desidero
per me soltanto un vuoto
o se è l’immenso desiderio
senza fine che ho di te

di te da questa parte del telefono
di te da questa parte...



Strano, è già passato un anno eppure a volte tutto mi sembra così lontano. Ora la mia macchina è stata sostituita da treni sporchi e perennemente in ritardo, e le montagne che vedo da qui non sono quelle in cui giravo nel profondo Nordest. Non credo più nelle rivoluzioni della mia vita, anche perchè ho perso per strada troppe persone.

L'ultima volta che ho creduto in qualcosa è stato due settimane fa, quando mi sono trasferito a Torino per la prima volta, con tutte le valigie. Nevicava anche lì, proprio come nel marzo dell'anno scorso, quando facevo le interviste. Avrò avuto addosso 50 chili tra vestiti, cibo e il fondamentale lettore dvd con tutta la mia raccolta di film. Non avevo ancora le chiavi del mio nuovo appartamento, e quando sono arrivato non c'era nessuno che mi potesse aprire la porta per poggiare i bagagli. Per non arrivare tardi al corso che sto frequentando, dovevo trascinarmi quel quintale di roba addosso per almeno 3 chilometri, e dopo aver camminato per 5 metri stavo già male. Mi facevo strada tra la gente barcollando come un barbone ubriaco, con lo zaino sulle spalle, una borsa a tracolla, il borsone in una mano e il lettore dvd nell'altra. Mi fermavo a rifiatare ogni minuto, ma in quelle condizioni ci avrei messo un'ora. A Torino poi i porticati sembra non finiscano mai, come le gallerie sulle alpi. Avevo percorso 300 metri dalla stazione in circa mezzora, quando mi sono fermato per prendere il telefono nella tasca del cappotto. Sudavo. Era mio papà che doveva dirmi non ricordo cosa, e così ne ho approfittato per rifiatare. Poggiate le valigie, ho alzato lo sguardo ancora confuso per lo sforzo, e ho visto questo.


Nell'istante in cui l'ho visto, mi è arrivato un messaggio di Alessia, la mia nuova compagna di appartamento, che era a casa e quindi poteva aprirmi la porta e darmi le chiavi. Ringraziai col cuore L'associazione Informazioni su Cristo per l'illuminazione e mi avviai verso la casa che mi ospiterà per qualche mese. Perchè si, pare che io a marzo non riesca proprio a stare fermo. Che poi, guarda la coincidenza, proprio poche settimane fa ho parlato con il responsabile di Slow Food Friuli, per un'opportunità di lavoro. Gli dissi che per pochi mesi mi sarei trasferito a Torino, per il corso che sto facendo, e lui fece, un po' seccato: "Eh, però ad un certo punto bisogna smettere di viaggiare e di fare gli studenti, bisogna piantare le radici da qualche parte". "Ci ho provato - avrei voluto dirgli - ma che colpa ne ho se le mie radici non attecchiscono, che colpa ne ho io se lei un anno fa non ha risposto a quella telefonata. Però, sa, ogni marzo io ci riprovo, a piantare un semino da qualche parte". Che poi c'era una canzone dei... dei Tears For Fears mi pare, che diceva...

And anything is possible when you're
Sowing the seeds of love

4 commenti:

  1. Che piccolo antro pieno di morbidezza. Morbide le tue parole e i tuoi splendidi racconti agrodolci che mi trasportano tra nevi sconosciute. Morbido il pinguinotto ciccioso e mordicchioso che capeggia in alto a sinistra.
    Si, questo posto già mi piace. Ti spiace se mi accomodo un pò?

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  2. Complimenti, è tra i più bei blog che abbia mai visto.
    Torino è una città magica che io purtroppo ho abbandonato.. complimenti ancora per questi turbamenti...
    ciao
    Alex

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  3. in effetti "Die Verwirrungen des Zöglings Törleß" era un altro bel nome per questo blog...

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  4. ERA UN FROCIO IL GIOVANE TORLESS COMUNQUE!!

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