domenica 28 novembre 2004

Cineracconto illustrato

Quando guardo i libri di fotografie sul cinema della Taschen penso sempre al fatto che, seguendo un film in tempo reale, riusciamo a cogliere solo una parte infinitesimale dei dettagli o delle sfumature di ogni scena. Guardando invece le foto tratte da un film che ho già visto, mi accorgo di particolari che non avrei notato neanche rivedendolo dieci volte. Sarebbe bello poter sfogliare, uscendo dal cinema dopo aver visto un bel film, uno di quegli albi che davano come supplemento alle riviste di cinema negli anni '30, con lo stesso film raccontato da una serie di fotogrammi con le didascalie e qualche dialogo.
Stasera, mentre guardavo 'deserto rosso' di Antonioni, pensavo a come avrebbero potuto raccontare in quel modo un film del genere, senza azione e con dialoghi in bilico tra lo psicologico e l'alienato. Alla fine ho provato a farlo io, anche se poi mi sono accorto che le immagini e le frasi che più mi avevano colpito non raccontavano la storia del film, ma di una persona che avevo rivisto e ricordato attraverso la protagonista di quel film. Forse perchè quando vedevo Giuliana, appoggiata a quel muro alle sue spalle come se le servisse per restare in equilibrio, mi sembrava di vederti.

Giuliana: Cercava me?
Corrado: Stavo...stavo andando qui vicino e l'ho vista entrare...
No, non è vero, non voglio cominciare con una bugia.
Giuliana: Cominciare che cosa?
Corrado: Niente, a parlare. Mi dispiace che...

Giuliana: Ugo le ha parlato di me?
Corrado: No. Cioè, mi ha detto che avete un bambino. Sapevo che si era sposato, ma non con chi.
Giuliana: Nient'altro?
Corrado: Si, del negozio.

Giuliana: Dimmi la verità, te ne ha parlato?
Corrado: Chi?
Giuliana: Ugo, dell'incidente.
Corrado: Si, si. Ma non è stato grave, no?
Mi ha detto che sei rimasta un po' in clinica, per lo shock.
Giuliana:
Ho conosciuto una ragazza
Corrado: Dove?
Giuliana:
Corrado: Vuoi dire in clinica?
Giuliana: Stava molto male...è che voleva avere tutto.
Corrado: Tutto che cosa.
Giuliana: Il dottore le diceva: lei deve imparare ad amare.
Amare una persona, o una cosa, suo marito, suo figlio, un lavoro, anche un cane.
Ma non marito, figlio, lavoro, cane, alberi, fiume...
Corrado: Ti ha mai detto che cosa sentiva?
Giuliana: Le mancava il pavimento, l'impressione di scivolare su un piano inclinato,
di andare giù, d'essere sempre lì lì per affogare, e non hai niente.

Giuliana: Non sta mai fermo. Mai, mai, mai... Io non riesco a guardare lungo il mare,
se no tutto quello che succede a terra non m'interessa più.



Giuliana: Io devo essere cretina. E' per questo che non me la so cavare. Sai cosa vorrei?
Tutte le persone che mi hanno voluto bene. Averle qui, intorno a me, come....un muro.

Giuliana: Chissà se c'è, al mondo, un posto dove si va a stare meglio. Forse no.

giovedì 25 novembre 2004

Bright eyes

Edie era arrivata a New York nel 1964, con tante speranze davanti a sè e tanti problemi che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle, pur essendo ancora così giovane. Proveniva da una famiglia ricca, ma con una lunga storia di malattie mentali. Suo padre aveva sempre dovuto convivere con esaurimenti nervosi e depressione, e due dei suoi otto fratelli fin da piccoli sembravano soffrire dello stesso male. Suo fratello Minty si era suicidato all'età di 16 anni, mentre Bobby era costantemente seguito da uno psichiatra. Anche Edie era stata sottoposta a cure psichiatriche fin dall'adolescenza. Soffriva di anoressia, era in costante peggioramento e a 19 anni, durante la degenza in un ospedale per delle cure, rimase incinta e fu costretta ad abortire. Una volta dimessa, cominciò a frequentare il college a Cambridge, ma più che studiare girava negli ambienti degli artisti e dei dandy dell'epoca, tra i quali circolava soprattutto tanta droga, di ogni tipo. E così dopo un anno lasciò tutto per trasferirsi a New york. Fu lì che incontrò Andy per la prima volta, nel gennaio del 1965, a una festa in un appartamento di amici. Andy si accorse appena di lei, ma non poteva non aver notato i suoi capelli biondi e i suoi bellissimi, luccicanti occhi blu.

Edie era un angelo, ma aveva su di sè come un'aura negativa. Erano le droghe, diceva qualche maligno, ma non era solo quello. Non era mai riuscita ad avere una relazione soddisfacente con un uomo, conduceva una vita sregolata e poco salubre, e soprattutto non poteva liberarsi dai suoi problemi psichici. Eppure, quando nel marzo del '65 cominciò a frequentare assiduamente la Factory, tutto sembrava andare per il verso giusto. Andy la portò a Parigi per l'inaugurazione della mostra dei suoi 'Flowers', ma ormai si era stufato dei quadri. Ora voleva dedicarsi ai film, e Edie era quello che cercava. Dopo qualche apparizione in 'Vynil' e in 'Horse' e dopo un copione scritto per lei, 'Kitchen', arrivarono i consensi unanimi di 'Beauty No. 2'. Era il 1965. Andy l'aveva praticamente eletta regina della Factory, e già qualcuno nel giro, forse scherzando e forse no, la chiamava Mrs. Warhol. Si era anche tinta i capelli di biondo platino come lui. Chissà se Andy, egocentrico com'era, cominciava ad essere geloso di tutte queste attenzioni che le erano riservate, ma allora più di una persona pensava che sarebbe diventata la nuova Marilyn. Forse se le cose fossero andate diversamente lo sarebbe diventata davvero...

Fu il 1966 che segnò per sempre la vita di Edie. Uno dei primi ad interessarsi a lei per portarla fuori dalla Factory fu Bobby, che all'epoca era considerato niente meno che il braccio destro di Dylan. Si può dire che stessero anche insieme, per quello che voleva dire stare insieme, allora, a New York. Fu Bobby a far entrare Edie nel giro di Dylan.
Dylan frequentava sì ogni tanto la Factory, ma tra lui e Andy, o più che altro tra i due entourages, era in atto una specie di guerra fredda. Da una parte la Factory e il suo mondo di omosessuali, artisti, sbandati e fatti di anfetamine. Dall'altra parte un gruppo di eterosessuali dediti a droghe pesanti e acidi, alle spalle del più ricco e famoso cantautore dell'epoca. Tra questi due mondi non potevano non esserci contatti, ma quando c'erano celavano sempre un certo sospetto, una certa diffidenza (Dylan alla Factory era soprannominato benevolmente "the creep"). E così quando Edie cominciò a fare qualche progetto con Albert, il manager di Dylan, lo fece quasi di nascosto. Edie non ne era capace, ma avrebbe tanto voluto cantare, e così quando Albert le propose di entrare nel suo giro per diventare una cantante e fare un film con Bob, beh, lei non poteva crederci. E forse non poteva credere neanche al fatto di aver fatto breccia nel cuore di Dylan. Già, perchè tra loro sembrava appena nata una storia. Lui aveva trovato una ragazza che finalmente era in grado di rispondergli a tono, e lei si era pazzamente innamorata di lui. Potevano stare a letto a fare l'amore per ore ma se lui mancava un minuto soltanto, lei si sentiva svuotata, persa. Lui era l'amore e la promessa di uscire da quella vita di anfetamine e psicofarmaci, per essere finalmente felice come non lo era mai stata.

Andy intanto era completamente preso dal suo nuovo giocattolo, i Velvet Underground. Certo, la prima volta che aveva visto Lou sul palco non era rimasto granchè impressionato, ma ci avrebbe pensato lui a trasformarlo in quello che voleva: un gruppo con occhiali scuri e vestiti di pelle nera, una chantause bionda e fascinosa, uno spettacolo di luci, proiezioni di film e diapositive, dei ballerini che sfilano sul palco con fruste e stivali di pelle...
Nella mente di Andy c'era già tutto questo quando quasi per caso, per il ruolo della chanteuse, spuntò fuori il nome di Nico, una modella tedesca che aveva recitato qualche particina in alcuni film in Europa e portava con sè un demo 45 giri di una canzone che proprio Dylan aveva scritto per lei, 'i'll keep it with mine'. Già, era stato proprio Dylan a conoscerla, a Parigi, e a portarla a New York tramite il suo manager, Albert, che forse voleva vedere se lavorandoci su avrebbe potuto guadagnarci qualcosa. Ma per ora Nico non era nessuno, ed era famosa più per la sua storia con Brian Jones che per altro. Andy però era convinto che fosse ciò che gli serviva per completare i Velvet: con quel suo aspetto algido e statuario, quell'accento tedesco, quei capelli lisci e biondi era perfetta per ciò che aveva in mente. Che poi avesse una pronuncia un po' così e non sapesse cantare, beh, era un problema che non lo riguardava. E Edie? Nei primi spettacoli dei Velvet Underground i due ballerini principali erano proprio lei e Gerard Malanga, un caro amico e collaboratore di Andy. Era gennaio, nel 1966.

Edie e Andy erano in crisi da tempo. Lui la emarginava sempre più, preso dai suoi nuovi progetti, e lei era attratta dalle promesse di Albert per la sua futura carriera. Accanto a Bob. Poi, una sera di metà febbraio, mentre era al ristorante con Andy e gli altri del suo entourage, Edie gli disse che non poteva andare avanti così. Non sapeva che posto aveva nei Velvet, non aveva soldi con cui vivere, e di fronte a lui che le rispondeva di essere paziente, beh, a quel punto sbottò e gli disse che aveva firmato un contratto con Albert, che le aveva consigliato di non farsi più vedere in giro con lui perchè era una pessima pubblicità. Disse anche che d'ora in poi lui non avrebbe più dovuto mostrare i film in cui c'era lei, e che ora avrebbe girato un nuovo film con il clan di Dylan.
Andy, ferito nell'orgoglio, aveva capito che Edie aveva una cotta per Dylan, e il caso aveva voluto che proprio quella mattina, dal suo avvocato, avesse sentito che Bob pochi mesi prima si era sposato segretamente con la sua ragazza, Sarah. Così, per ferire Edie, la freddò dicendole: 'Ma lo sai che Bob Dylan è sposato?'. Lei rimase lì impietrita, impallidì e rispose, con la voce strozzata dall'emozione: 'Cosa? Non ci credo! Cosa?'. E poi scappò fuori a fare una telefonata, e capì che tutto quello che aveva pensato dentro di sè sulla sua relazione con Dylan era falso. Rotti i ponti con il suo passato, scopriva che il futuro che aveva immaginato era frutto della più crudele delle bugie, la più brutale delle falsità.
Di lei alla Factory si seppe poco altro, dopo quella volta. Andy non mostrò più i film di cui era protagonista e tolse anche dal suo nuovo film, Chelsea Girls, una parte in cui veniva ripresa. Al posto di quella sequenza fu messo un primo piano di Nico che piange, nella stanza numero 416 del Chelsea Hotel, con in sottofondo la musica dei Velvet Underground.

Edie da allora scivolò sempre di più nel baratro, tra droga e ospedali, tra progetti di film falliti, scadenti o mai realizzati. Provò anche a fare la modella, ma ormai era emarginata dal giro che conta, perchè era considerata da tutti una drogata, una pazza. Cominciò a girare il film 'Ciao! Manhattan'. Doveva essere un film su una modella di nome Susan in cerca di gloria, ma si trasformò in un film sulla sua vita. Per cinque anni i due registi, John e David, seguirono Edie nei suoi spostamenti, dentro e fuori le cliniche psichiatriche, tra debolezze e umiliazioni, cure e ricadute, fino a poco tempo prima della sua morte. Un'overdose di barbiturici la uccise il 15 Novembre del 1971, a soli 28 anni. La trovò morta Michael, un ragazzo che Edie aveva sposato proprio quell'anno, dopo averlo conosciuto in un ospedale psichiatrico.

Chi la conosceva sapeva che aveva ricevuto tante delusioni dalla vita, ma quella che le aveva dato Dylan era stata sicuramente la più grande. Forse perchè lui più di ogni altro era riuscito a farle credere nei sogni. Quella probabilmente fu davvero la sua ultima occasione.
Quasi per ironia della sorte, due canzoni famose di quegli anni erano state scritte pensando a lei: una era dei Velvet Underground, che allora erano il gruppo di Andy, e l'altra proprio di Dylan. Quelle due canzoni, più che raccontare della sua bellezza e dei suoi bellissimi, luccicanti occhi blu, raccontano la triste storia di una persona che avrebbe desiderato soltanto di essere amata, ma che alla fine fu abbandonata da tutti. Basta leggerne qualche strofa pensando a lei e non saranno più le stesse per chi le ascolta.

Femme fatale

Here she comes, you better watch your step eccola che arriva, meglio che stai attento a dove vai
She's going to break your heart in two, it's true ti spezzerà in due parti il cuore, davvero
It's not hard to realize non è difficile capirlo
Just look into her false colored eyes basta guardarla negli occhi colorati di finto
She builds you up to just put you down, what a clown ti costruisce solo per buttarti giù, che pagliaccio

'Cause everybody knows perché tutti sanno
(She's a femme fatale) (lei è una femme fatale)
The things she does to please quello che fa per farsi piacere
She's just a little tease è solo una piccola stronza
(She's a femme fatale) (lei è una femme fatale)
See the way she walks guarda come cammina
Hear the way she talks senti come parla

Just like a woman

It was raining from the first stava piovendo fin dall'inizio
And I was dying there of thirst, so I came in here ed io ero lì che morivo di sete, così sono entrato
And your long-time curse hurts e la tua antica maledizione ferisce
But what's worse Is this pain in here ma quel che è peggio è questo dolore
I can't stay, ain't it clear that i just can't fitin here non posso restare qui, è chiaro che proprio non ci riesco

Yes, I believe it's time for us to quit sì, credo sia ora per noi di lasciarci
When we meet again introduced as friends quando ci riincontreremo e ci presenteranno
Please don't let on that you knew me when per piacere non far capire che mi conoscevi
I was hungry and it was your world quando io ero affamato ed era il tuo mondo

Ah, you fake just like a woman, yes, you do ah tu fingi proprio come una donna, sì
You make love just like a woman, yes, you do tu fai l'amore proprio come una donna, sì
Then you ache just like a woman poi soffri proprio come una donna
But you break just like a little girl ma piangi come una ragazzina

Tutti quelli che hanno vissuto quei giorni ricordano che la protagonista di 'just like a woman' è Edie. Solo Dylan, quando gli venne chiesto di lei, fu capace di dire: 'non ho avuto molto a che fare con Edie Sedgwick, non la ricordo tanto bene. (...) Non ricordo nessun tipo di relazione. Se c'è stata una relazione, penso di non ricordarmela' (da un'intervista a Spin del 1985).

giovedì 18 novembre 2004

Dolls

Come ho già scritto in un vecchio post, quando ero piccolo giocavo spesso con i giocattoli di mio fratello più grande. Ogni tanto riuscivo a farmi accompagnare in soffitta e, frugando negli scatoloni, trovavo eserciti di soldatini tedeschi, o i mezzi da sbarco degli alleati in normandia. A volte, se ero particolarmente fortunato, riuscivo a trovare un cavallo di Troia in miniatura ove potevo stipare soldatini egiziani, romani o quant'altro mi passasse tra le mani in quel momento.
Così, come tradizione vuole, oggi i miei nipoti saccheggiano la soffitta come orde di barbari, alla ricerca di qualsiasi cosa possa sembrare un giocattolo. Non è che si curino poi tanto di che giocattolo è. Prima arraffano più che possono, si riempiono le tasche, le mani e gli zainetti delle cose più disparate: racchette da tennis, vestiti di carnevale, trenini che non funzionano da secoli e secoli. Poi, una volta compiuto il sacco, comincia l'esame del bottino, in cucina. A volte va bene, e se ne tornano a casa con il mio glorioso galeone dei playmobil con i cannoni e le palle di cannone. Altre volte c'è qualcosa di troppo difficile da montare, o in cui è troppo difficile immedesimarsi, per un bambino che ha 5 anni nel 2004.
Quando la mia nipotina ha tirato fuori da un sacchetto polveroso un meraviglioso salotto vintage anni '60, è rimasta lì ferma, allibita. Non aveva mai visto in nessun salotto quelle poltrone che sembravano uscite da un catalogo Ikea di quarant'anni fa, e neppure quelle donne bellissime con quei vestiti etno-chic e quei capelli biondi e vaporosi. In casa abbiamo tutti i capelli neri o castani, forse è stato quello, o forse no. Fatto sta che pur avendole amorevolmente ricomposto il salotto come doveva essere in origine, con le signore sedute a chiacchierare di piacevoli amenità sorseggiando una tazza di caffè o un punch, non ha voluto portarselo a casa. Ha preso solo le tazzine e la brocca, con cui verserà da bere ad altre bambole più attuali di queste.

Forse un po' deluso, sono rimasto lì ancora un po' a guardare quelle tre belle signore sedute nel salotto, prima di rimetterle nello scatolone e condannarle all'oblio dal quale per un attimo erano emerse. All'inizio non mi erano sembrate poi così vecchie, ma ora erano diventate dei fantasmi, delle figure irreali di un tempo che nessuno più ricordava, e che potevi ritrovare solo in qualche fotografia, o in qualche vecchio film. Poi tutto a un tratto, nel silenzio della stanza, ho cominciato ad avvertire un brusio dapprima indistinto, ma che diventava sempre più chiaro. Piano piano cominciai a sentire quella che a me sembrava in tutto e per tutto la conversazione di quelle tre donne, in quel salotto. L'ho trascritta subito dopo, per non scordarmela.


(si sentono dei confusi rumori di fondo)
'(...) idea di suicidio; idea di separazione; idea di ritiro solitario; idea di viaggio; idea di oblazione, ecc.;
posso immaginare varie soluzioni alla crisi amorosa e difatti non faccio che pensare a questo.'

'Nel lutto reale, è la «prova di realtà» a mostrarmi che l'oggetto amato ha cessato di esistere. Nel lutto amoroso, l'oggetto non è né morto né lontano. Sono io a decidere che la sua immagine deve morire (e questa morte, io potrò addirittura arrivare a nascondergliela). Per tutto il tempo che durerà questo strano lutto, dovrò portare il peso di due infelicità fra loro contrarie: soffrire per il fatto che l'altro sia presente (e che continui, suo malgrado, a farmi del male) e affliggermi per il fatto che egli sia morto (se non altro, che sia morto quello che io amavo).'

'L'assillo amoroso comporta un dispendio di energie che logora il corpo quanto un duro lavoro fisico. «Soffrivo talmente, - dice qualcuno, - tutto il giorno lottavo a tal punto con l'immagine dell'essere amato che, la notte, dormivo come un ghiro.»'

'L'imperfetto è il tempo della fascinazione: sembra vivo, mentre invece non si muove: presenza imperfetta, morte imperfetta; né oblio né resurrezione; semplicemente, l'estenuante illusione della memoria.'

mercoledì 17 novembre 2004

Blankets

Mentre leggevo la storia raccontata meravigliosamente da Craig Thompson in Blankets, anch'io ho desiderato di poter scrivere il romanzo della mia formazione a fumetti. Certe volte rimpiango veramente di non avere il dono per le attività manuali, che siano saper suonare la chitarra o disegnare. Peccato, perchè sarebbe venuta fuori proprio una di quelle storie che piacciono a me, ma che ci posso fare, amo avere degli alibi per non dover fare cose troppo impegnative...

Un particolare della copertina dell'edizione americana di 'Blankets'.

Blankets è più di un fumetto, è un pezzo di vita di chi l'ha pensato, creato, disegnato, e anche se non tutto dev'essere accaduto proprio così poco importa, perchè potrebbe benissimo essere successo. Forse qualcosa di simile è capitato anche nella vita di chi lo legge. Molte persone hanno avuto una Raina che ha cambiato la loro vita. Non tutti però, se dovessero raccontare la loro storia, citerebbero la Bibbia e Platone, direbbero di aver ascoltato i Cure e i Dinosaur Jr. e accosterebbero sulla parete di una cameretta le immagini del piccolo principe, di Gesù Cristo e di Kurt Cobain. Non tutti parlerebbero di compilation e di lettere, di distanze e di telefonate che più che avvicinare allontanano, di corse sulla neve e di letti su cui andare alla deriva, di un'infanzia solitaria e di un'adolescenza con tante domande senza risposta.
Forse è vero, le storie d'amore alla fine si assomigliano tutte: c'è sempre l'incertezza, l'entusiasmo e poi, inesorabile, l'addio. Ma non è certo questo che poi ognuno si ricorda, sono altre le cose a cui pensiamo quando vogliamo raccontare agli altri una storia che abbiamo vissuto
come se fosse un romanzo. Un romanzo speciale. Il nostro romanzo. Per esempio invece della coperta (blankets) di Craig io potrei avere, che ne so, un quadrifoglio salvato dalla ciotola del coniglio, una conchiglia rosa, una talpa di peluche, una polaroid compromettente, un paio di calzini. Tutte cose che non sarebbero mai esistite senza quel primo incontro, quello sguardo imbarazzato e la decisione, nemmeno io saprei dire di preciso il perchè, di far entrare qualcuno nella mia vita.


Girl afraid ragazza spaventata
Where do his intentions lay?
lui che intenzioni ha?

Or does he even have any?
ma poi avrà qualche intenzione?

Boy afraid ragazzo spaventato
Prudence never pays la prudenza non paga mai
And everything she wants costs money
e tutto quello che lei vuole costa caro

(Smiths, Girl Afraid)

Quando ho visto Raina e Craig sdraiati l'uno accanto all'altro sul letto a parlare di quando erano bambini,
beh, un brivido mi è passato lungo la schiena. Lei sembrava davvero un angelo,
quando ha cominciato a cantare sussurrando "Just like heaven".

Show me how you do it mostrami come fai
And I promise you I promise that e ti prometto, ti prometto che
I’ll run away with you scapperò via con te
I’ll run away with you
scapperò via con te

(Cure, Just like heaven)

Lei era un angelo.

Mentre lei gli preparava la valigia, mi è venuta in mente "At the hop",
la ascolto spesso in questi giorni. Ci sarebbe stata proprio bene, in quella scena.

Put me in your suitcase mettimi nella tua valigia
Let me help you pack lascia che ti aiuti a chiuderla
'Cause you're never coming back perchè non ritornerai più
No, you're never coming back no, non ritornerai più

(Devendra Banhart, At the hop)

Il finale della storia non è un finale vero e proprio, è uno dei tanti finali della nostra vita, che forse sarebbero meno drammatici se riuscissimo a capire fin da subito che non è poi così difficile ricominciare e dare una svolta alla nostra vita, come succede al protagonista. Però se devo dire la verità io odio gli addii, l'ho sempre detto, ma questa in fondo era la storia di Craig, non la mia.

Yesterday the sky was you ieri il cielo eri tu
And I still feel the same
ed io mi sento sempre allo stesso modo
Nothing left for me to do
niente è rimasto da fare per me
And I still feel the same ed io mi sento sempre allo stesso modo

(Smashing Pumpkins, Drown)

Un particolare della copertina dell'edizione italiana di Blankets.

martedì 9 novembre 2004

Traguardi

Ero partito con determinate premesse che ora non ci sono più, e non posso continuare a fare l'inventario di ciò che è rimasto. Rischierei di diventare una caricatura di me stesso, patetico, ma non patetico come mi è sempre un po' piaciuto essere. Patetico nella sua connotazione più sgradevole. Patetico come sono tutti gli altri quando sono patetici. E allora meglio alzarsi e andare via, dove almeno nessuno ti può vedere, nessuno ti può chiedere come stai, se stai bene, che cos'hai. La solitudine ha una sua dignità quasi marziale. Nessuno sa come stai veramente, che cosa pensi, se piangi, se sei debole, meschino, egoista. Anzi, così da lontano sembra che tu non abbia bisogno più di niente, come se il non manifestarsi fosse una sorta di corazza che protegge dal dolore e dal tempo. E acquieta le coscienze: non mi chiama, non ha bisogno di me, e quindi vuol dire che sta bene. Ma in fondo forse è meglio così, e quando ora mi guardo allo specchio non trovo parole migliori di quelle cantate da Elliott smith, all'inizio di 'coming up roses'.

Sono uno sfasciacarrozze pieno di false partenze
E non ho bisogno del tuo permesso
Per seppellire il mio amore sotto questa lampadina spoglia

Novembre 2003, al circolo Arci Pàbitelé, a Udine.

Un anno fa, il 10 novembre 2003, mi laureavo, ma erano ben altre le priorità. 'Non penserai mica alla tua vita adesso, al tuo futuro', continuavo a ripetermi, quasi senza volere. 'No, stai tranquillo, c'è tempo, ho altre priorità adesso, te l'ho detto', mi rispondevo. Ora dico semplicemente: 'questo è solo un anno da dimenticare', citando senza pensarci una vecchia canzone di Venditti, "per sempre giovane".

Febbraio 2004, lungo la roggia che costeggia Viale Vat, a circa 500 metri da casa mia.

Per fortuna ho tanti cari amici che mi conoscono bene
e sanno sempre trovare le parole di cui ho bisogno.

fabio scrive:
domani=1 anno di cazzeggio di alessio
fabio scrive:
1 fottuto anno di vita insulsa
fabio scrive:
è l'anniversario
alessio scrive:
ah, era il 10 novembre
fabio scrive:
il 10
fabio scrive:
un traguardo
alessio scrive:
che sogno
alessio scrive:
un anno senza fare un cazzo
fabio scrive:
dopo un anno le cose si fanno pesanti amico mio...
fabio scrive:
pesanti
alessio scrive:
pesanti in che senso?
fabio scrive:
un anno senza fare niente è molto negativo
fabio scrive:
depressivo
alessio scrive:
infatti, guardami, ti sembro soddisfatto della mia vita
alessio scrive:
quest'anno puntavo almeno a donna da sposare
per poi avere la forza per cercare lavoro, ma niente
fabio scrive:
lavoro
fabio scrive:
a laburà
fabio scrive:
vado caro
fabio scrive:
buon pranzo
alessio scrive:
spero che un pezzo di cibo mi vada di traverso e mi soffochi

Luglio 2004, seduto a riflettere sugli scalini della salita al castello di Udine.

Ci sono stati sì brevi momenti vissuti con intensità, ma un anno è fatto di 365 giorni, non di tre o quattro. E la vita è un'avventura da vivere ogni giorno, non qualche attimo passando tutto il resto del tempo a prepararsi per una missione da compiere. Se dovessi esprimere un desiderio, ora, sarebbe riscoprire il piacere della quotidianità. Tante, piccole cose belle nelle giornate altrimenti grigie, ordinarie e ripetitive della nostra vita. Non evasione, nè fuga dalla realtà, ma soltanto il piacere delle cose semplici, scontate. 'Da quant'è che non usciamo per un cinema e una pizza? Ti va?'.

Settembre 2004, nella metropolitana di una grande città italiana.

Il tempo che passa inutilmente mi riporta a un bellissimo brano de 'il deserto dei tartari', di Buzzati.
Un libro meraviglioso che ho riletto quest'anno, immedesimandomi molto.

Purtroppo egli non si sente gran che cambiato, il tempo è fuggito tanto velocemente che l'animo non è riuscito a invecchiare. E per quanto l'orgasmo oscuro delle ore che passano si faccia ogni giorno più grande, Drogo si ostina nella illusione che l'importante sia ancora da cominciare. Giovanni aspetta paziente la sua ora che non è mai venuta, non pensa che il futuro si è terribilmente accorciato, non è più come una volta quando il tempo avvenire gli poteva sembrare un periodo immenso, una ricchezza inesauribile che non si rischiava niente a sperperare. Eppure un giorno si è accorto che da parecchio tempo non andava più a cavalcare sulla spianata dietro alla Fortezza. Si è accorto anzi di non averne nessuna voglia e che negli ultimi mesi (chissà da quanto esattamente?) non faceva più le scale di corsa a due a due. Sciocchezze, ha pensato, fisicamente si sentiva sempre lo stesso, tutto stava a ricominciare, non c'era neppure dubbio; una prova sarebbe stata ridicolmente superflua. No, fisicamente Drogo non è peggiorato, se riprendesse a cavalcare e a correre su per le scale sarebbe benissimo capace, ma non è questo che importa. Il grave è che lui non ne sente più voglia, che lui preferisce dopo colazione starsene a sonnecchiare al sole piuttosto che scorazzare su e giù per la spianata sassosa. E' questo che conta, solo questo registra gli anni passati.
Oh, se ci avesse pensato, la prima sera che fece le scale a un gradino per volta! Si sentiva un po' stanco, è vero, aveva un cerchio alla testa e nessun desiderio della solita partita a carte (anche in precedenza del resto aveva qualche volta rinunciato a salire le scale di corsa per via di malesseri occasionali). Non gli venne il più lontano dubbio che quella sera fosse molto triste per lui, che su quei giardini, in quell'ora precisa, terminasse la sua giovinezza, che il giorno dopo, per nessuna speciale ragione, non sarebbe più ritornato al vecchio sistema, e neppure dopodomani, né più tardi, né mai.

Dopo aver letto questo passo, nei giorni seguenti salendo in mansarda facevo le scale di corsa, due gradini alla volta. Si, ci arrivavo col fiatone, ma era per sentirmi un po' più giovane. Poi, ripensando ai tanti errori commessi quest'anno, ai sensi di colpa, alle mie ingenuità, ho preso coscienza del problema, ma non l'ho risolto.

Coscienza: Non lo farai mai più, vero?
Io: No, te lo giuro.
Coscienza: Si, si, sai quante volte hai detto così, e poi basta una telefonata, un cenno, un saluto...
Io: No, no, stai tranquilla, e poi il mio oroscopo per il 2005...
Coscienza: Oh, merda, ci risiamo
.

Settembre 2004, davanti alla bocca della verità.

domenica 7 novembre 2004

L’eterno splendore di un ricordo (parte seconda)

Un pomeriggio d'inverno di qualche anno fa, sarà stato dicembre, stavo passando in macchina vicino alla stazione. Cercavo parcheggio per andare in qualche negozio lì vicino, a prendere gli ultimi regali di natale. Nell'autoradio c'era "fake" degli adorable. Era uscita da poco la raccolta celebrativa della Creation, "Creation Records: international guardians of Rock & Roll", e si vede che ascoltando "sunshine smile" mi era venuta voglia di risentire tutto il disco. Soprattutto "road movie".

Oh, i want to forget you
Oh, i want to forget you
Then i flashback...
Flashback to a time of stolen memories
We are tied by our lies, we are tied by history

Mi sono sempre chiesto perchè ogni tanto ascoltiamo delle canzoni che sembrano fatte apposta per descrivere ciò che sentiamo in quel preciso momento della nostra vita. E soprattutto perchè sono quasi sempre canzoni tristi.
E per me allora quel "then i flashback" si trasformava in "quella sera, seduti sui sassi lungo il fiume, era stato bello ascoltare 'sour times' dopo esserci divisi le cuffie del tuo walkman".
Ogni storia ha un esatto momento in cui tutto nasce, e da lì in poi ogni cosa sarà diversa da com'era prima. Non coincide necessariamente con un bacio, o con delle parole. Semplicemente lì, in quel posto, in quel momento capisci che niente sarà più come prima.

Ho ripensato a quel "then i flashback" vedendo nel film Joel (Jim Carrey) che in sogno immagina la lotta di lui e Clementine (Kate Winslet) per salvare i ricordi della loro storia dalla minaccia di ignoti cancella-memoria. Quella folle corsa per non dimenticare descrive meglio di qualsiasi parola che cosa voglia dire aver amato tutto di una persona, anche i difetti. Ed è proprio vero, quando dici: ogni cosa mi ricorda di lei. Ogni cosa bella o brutta è tenuta insieme alle altre da un filo che è impossibile da spezzare, per quanto a volte si abbia la tentazione di farlo. Però quando Joel e Clementine, inseguiti dai cancella-memoria, sembrano aver esaurito i ricordi comuni in cui rifugiarsi, lui è costretto a raccontarle qualcosa del suo passato più profondo e dimenticato, come se in quel modo potesse creare una sorta di filo di Arianna nel labirinto del suo cervello, a cui legarla per non perderla.

Clementine: Joel, ho un'altra idea per risolvere il problema. Questo è un ricordo di me, di quella volta che hai voluto fare sesso sul divano dopo avermi sbirciato le mutande.
Joel, i cancella-memoria stanno arrivando, perciò perchè non mi porti da qualche altra parte, in qualche ricordo che non mi riguarda, e stiamo nascosti fino a domattina.

Joel: Mmm, no, non mi ricordo niente in cui non ci sia tu.

Clementine: E' molto bello ma provaci, ok?

Joel: Ok.

Per mettere il ricordo delle mutandine di Clementine al riparo dai cancella-memoria, Joel cerca allora di rifugiarsi con lei in un flashback di quando era piccolo, e piano piano il salotto della casa in cui abitavano insieme si trasforma nel giardino della sua infanzia, in un giorno di pioggia. In sottofondo il piano dolcissimo di Jon Brion, sopra il quale si sente una di quelle filastrocche buffe che ci insegnavano da piccoli: "va, va, lenta va, la barchetta va, passan le ochette e salutano e seguono lentamente va, va lenta va...".

Perchè non è vero che lei c'è sempre stata. Lei esiste nella sua vita da quel momento che nessuno dei due scorderà mai, ma prima non c'era. Lei semmai ha dato un senso alla sua vita, ha dato corpo ai suoi desideri, ha fatto scomparire dai suoi occhi quella malinconia che aveva fin da quando stava lì alla finestra, a guardare la sua biciclettina bagnarsi sotto la pioggia, triste perchè non lo lasciavano uscire finchè non smetteva.

Quella scena era troppo tenera, stupida, ridicola e surreale per non colpirmi. Lui da bambino con gli stivali gialli che salta sulle pozzanghere, e poi prende la bici di nascosto anche se fuori piove ancora un po', dopo aver asciugato il sellino con la manica della maglia. Una corsa fin sotto la tettoia, e mentre assaggia qualche goccia di pioggia con la lingua sa che è solo acqua, ma gli sembra quasi che abbia un sapore più buono. A volte è bello tornare bambini. E' bello non dimenticarsi di essere stati ingenui, stupidi idealisti, sognatori e bambini. E' bello non dimenticarsi di essere stati innamorati.

Quando ho detto 'non ti dimenticherò mai' per la prima volta, ho avuto come l'impressione che quelle parole non bastassero. Forse avevo paura di non essere creduto, forse avevo paura anche io, un giorno, di dimenticare. Ora so che non è così. Ora so che è tutto esattamente come in questo film, e come nel finale di "road movie" degli adorable, quando Piotr grida:

Oh, I want to forget you
Oh, I want to forget you
Oh, I want to forget you
Oh, I can never forget you

martedì 2 novembre 2004

L’eterno splendore di un ricordo (parte prima)

Avvertenza: prima di leggere questo e il prossimo post è consigliabile andare al cinema a vedere il film 'Eternal Sunshine of the Spotless Mind', con Jim Carrey e Kate Winslet.

Avevo proprio torto, quando pensavo che le ferrovie avessero bisogno di migliorare la propria immagine con una campagna pubblicitaria che ne promuovesse l'aspetto romantico e sentimentale. Avevo torto perchè ci sono già tantissimi film che svolgono questa funzione, e molto meglio di quanto potrebbe farlo un testimonial come me. Non voglio neanche provare a contarli tutti, da 'prima dell'alba' al 'dottor Zivago', da 'Jules e Jim' fino al recente 'l'amore ritrovato'.
Treni che partono e si lasciano dietro i nostri ricordi, treni che viaggiano verso posti dove non eravamo mai stati prima, e dove forse non ritorneremo mai più. Treni che non si vorrebbero prendere e treni che si perdono, come le occasioni.
E con un treno preso all'ultimo momento, dopo una decisione improvvisa e spiazzante, inizia anche 'eternal sunshine of the spotless mind', il nuovo film di Michel Gondry.

Ma non è un treno normale, non è un treno per ritornare a casa, o per andare a trovare un parente, un amico o un amore lontano. E' un treno che porta verso i propri ricordi, e così piano piano ti accorgi che non va sempre avanti diritto, ma procede a salti, torna indietro, riparte, corre, rallenta, e le immagini che ti appaiono dal finestrino cambiano più velocemente rispetto alla realtà. Così passi dalla luce al buio in un attimo, e la stessa spiaggia dove stavi seduto a prendere gli ultimi raggi di sole in autunno, se ti distrai un secondo, la trovi ricoperta di neve.

Anche i pensieri corrono veloci come gli alberi e le strade, là fuori. E mentre le immagini della tua mente si sovrappongono al paesaggio che scorre, ti viene quasi un'illuminazione. Nei ricordi, nelle cose che pensi, non sei mai solo. Non sei solo perchè pensi a qualcuno, e quel qualcuno, quando lo pensi, è lì con te. I suoi modi di dire, i suoi gesti, sono dentro di te, e ogni cosa che ti circonda tradisce un passato che non potrai mai cancellare dalla tua vita. Nelle cose che fai, nelle cose che dici, anche se non te ne rendi conto, lei è lì con te.

C'è un'altra storia che mostra come i ricordi possano salvare le nostre vite, e come sia pericoloso perderli. Per una curiosa coincidenza, anche in questa storia l'unico mezzo per recuperarli è un treno, e l'unica condizione per salire su quel treno è amare le persone che ti hanno spinto ad affrontare quel viaggio. Che poi le coincidenze non sarebbero finite qui, ma per ora penso sia abbastanza.
Il film a cui mi riferisco è 'la città incantata'. La protagonista è una bambina, Chihiro, che non deve dimenticare il suo nome, se non vuole diventare schiava degli spiriti che l'hanno imprigionata nel loro mondo. Chihiro riuscirà a salvare sè stessa e i suoi genitori solo grazie all'amore, aiutando l'unico spirito in grado di liberarla, Haku, a ritrovare la memoria.

Si salverà grazie ai suoi ricordi e grazie a un viaggio su un treno. Un treno particolare, perchè comincia la sua corsa sull'acqua, e arriva sulla terra ferma. Come se viaggiasse dall'immaginazione a una realtà senza più illusioni. Un viaggio apparentemente senza ritorno, come i sogni infranti. E forse sarebbe davvero così, se ogni tanto non ci fossero i ricordi ad aiutarci, a farci sentire meno soli, a farci emergere dal buio dell'oblio all'eterna luce del sole della mente immacolata...