domenica 30 maggio 2004

Dream machine

Sabato sera dovevo andare a vedere una performance di John Duncan in un circolo arci di Tarcento, vicino a Udine. Naturalmente io e i miei amici eravamo in ritardo e tra i vari “vado, non vado...ma poi se vado e non mi diverto? Va bene, vado. No no, non vado” siamo partiti verso le 11 e mezzo. In viaggio ascoltavamo “Valzer d’estate” di Adamo sgranocchiando deliziosi biscotti con gocce di cioccolato fatti in casa. Verso mezzanotte siamo arrivati nel locale, su più piani, davvero molto bello. Il concerto naturalmente era finito da un pezzo. Chiacchierando di nostre ipotetiche performance artistiche che mai realizzaremo, siamo saliti fino all’ultimo piano, dove c’era in mostra una Dream Machine, la macchina inventata nel 1959 da Brion Gysin, un pittore - scrittore - sperimentatore amico di William Burroughs. Una copia della dream machine, naturalmente, visto che una delle sue caratteristiche è di essere facile da costruire anche a casa, con un vecchio giradischi, una lampadina e poco altro, come viene spiegato in questo sito.
La dream machine è una macchina che permette, guardandola ad occhi chiusi, di raggiungere uno stato onirico da svegli. In pratica di sognare ad occhi aperti. Cosa che faccio abitualmente senza l’aiuto della dream machine, ma già che ero lì ho voluto provarne l’effetto anche io, sperando di avere qualche visione, un trip, o almeno qualche minima alterazione della percezione...


Brion Gysin e William Burroughs che guardano ad occhi chiusi la Dream Machine.



Dopo aver atteso il mio turno, mi sono finalmente seduto davanti alla Dream Machine. Ho chiuso gli occhi e ho atteso uno, due, tre minuti. All’inizio non succedeva niente, anche perchè ero distratto dalle altre persone intorno che sapevo mi stavano guardando, e poi mi veniva da ridere. Forse avrei dovuto prendere un acido, pensavo. Magari a Gysin e Burroughs funzionava per quello. No dai, mica sarà una leggenda questa della Dream Machine, dicevo sempre tra me e me. Allora ho cercato di concentrarmi e piano piano la luce, pur con gli occhi chiusi, si faceva sempre più intensa.


Eccomi mentre mi concentro davanti alla Dream Machine.



Ad un tratto ha cominciato a delinearsi una figura sullo sfondo, che all’inizio non capivo esattamente cos’era. Poi la figura è emersa completamente dal buio e ho potuto vederla più chiaramente. La sentivo vicina e avevo voglia di sfiorarla, toccarla... In quell’attimo però qualcuno mi ha chiamato, e ho aperto gli occhi. Era ora di alzarsi, e ancora un po' scosso e barcollante sono sceso a prendermi una birra. Per un minuto ancora ho avuto la vista come annebbiata da un alone rosso tutto intorno. Ero stanco, avevo voglia di sedermi, e mi muovevo un po’ al rallentatore. Ogni tanto, se chiudevo gli occhi, vedevo ancora, di nuovo, distintamente quell'oggetto che avevo visto prima fissando la Dream Machine. Era così rosso, comodo, morbido e bello da vedere, era proprio il divano dei miei sogni...


L'immagine apparsa nella mia mente mentre guardavo ad occhi chiusi la Dream Machine.


giovedì 27 maggio 2004

Inverno ’85

C’è una canzone dei Massimo Volume, forse il pezzo loro che preferisco,
che si intitola Inverno '85.

Per tutto l'inverno dell'85 ho passato i miei pomeriggi
di fronte allo stereo in camera di mio fratello ad ascoltare wicked gravity di Jim Carroll.
Mi muovevo al ritmo della musica immaginando il modo in cui lui poteva muoversi.
Mi muovevo al ritmo delle chitarre elettriche.
Tutto quello che avrei voluto era essere lui nell'attimo in cui canta:
"mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata".
Credo che in quel periodo la mia vita fosse tutta lì.

Questa è la copertina del secondo disco dei Massimo Volume.

Emidio Clementi, il cantante dei Massimo volume,
nell'85 ascoltava Catholic Boy (1980) di Jim Carroll, che in "Wicked Gravity" canta:

You know the stars in the night
they're like the holes in the cave
like the ceiling of a bombed-out church.

Questo è Jim Carroll giovanissimo con Patti Smith.

Io nell’inverno dell’85 avevo si e no 10 anni, andavo alle elementari e la sera andavo a letto presto, tranne la domenica, quando mia mamma mi faceva stare alzato un po’ di più perchè volevo vedere Drive In. Mi facevano ridere soprattutto i finti telegiornali di Massimo Boldi. Le notizie erano davvero stupidissime, come “nuova lavatrice lanciata sul mercato: 5 feriti “ o “grave incidente d'auto: perde il braccio destro; la polizia indaga sul sinistro”, ma allora mi facevano ridere. Mi ricordo che i pomeriggi mi mettevo seduto davanti alla macchina da scrivere, avevo appena imparato a usarla, e scrivevo (battendo i tasti con un dito solo) dei telegiornali satirici inventati, che poi leggevo al resto della famiglia, la sera a cena. Di solito nelle notizie prendevo in giro il resto della mia famiglia, la mia maestra e tutti i miei compagni delle elementari. I fogli devo averli ancora da qualche parte, in soffitta.

Il mio inverno ’85.

Nell’inverno ‘85 quindi non potevo certo provare le stesse sensazioni di Emidio Clementi quando ha scritto “tutto quello che avrei voluto era essere lui nell'attimo in cui canta: mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata”. Quelle sensazioni le avrei provate più tardi, nell’inverno del ’90, quando passavo i pomeriggi di fronte allo stereo in camera di mio fratello ad ascoltare i suoi vinili e le sue cassette. Lui allora studiava all’università e questo mi permetteva di frugare indisturbato in quel mare di dischi polverosi e con quei nomi per me ancora pieni di mistero, scoprendo piano piano gli Husker Du, i Joy Division, i Sonic Youth, i Pixies...

Il mio inverno ’90.

Il mio vinile preferito tra quelli di mio fratello, forse per quella meravigliosa copertina:
Closer dei Joy Division.

La prima volta che sentii i Massimo Volume invece credo sia stato nell’inverno del ‘96. Me li fece conoscere una mia ex ragazza, che amava gruppi come Disciplinatha, CCCP, Diaframma, Marlene Kuntz, mentre io a quell’epoca ascoltavo soprattutto musica inglese e americana. Mi ricordo la prima compilation che le avevo fatto, con tutti i testi fotocopiati: c’erano Nick Drake, David Bowie, i Portishead, i Jesus & Mary Chain, i Velvet Underground...e gli Smiths.
Una delle prime volte che la riaccompagnavo a casa, la sera, parlando in macchina mi disse: “c’è una canzone nella compilation che parla di una persona che sembri tu”. Le chiesi quale fosse. Mi rispose che era “The boy with the thorn in his side”, e dovetti ammettere che aveva ragione. Era febbraio e c
ome Morrissey anche io, allora, prima di conoscerla, mi ero chiesto:

And when you want to live
How do you start ?
Where do you go ?
Who do you need to know ?

Il mio inverno ’96.

La copertina del 45 giri di "The boy with the thorn in his side" degli Smiths.

Qualche mese dopo stavamo ancora insieme, e non ricordo esattamente perchè ma un giorno lei, per prendermi in giro, mi disse che le facevo venire in mente il “tenerone”, il personaggio di Drive In interpretato da Gianfranco D’angelo. Il tenerone. L’animale più buono del mondo. Quello che faceva “pippo pippoooo” e quando vedeva delle cose che lo spaventavano o lo imbarazzavano gridava “emozioneee” e faceva scomparire la testa nel pelo rosa per nascondersi, ma quando Ezio Greggio gli premeva la coda a batuffolo ritornava fuori.

Il tenerone.
Quello che guardavo in tv, la domenica sera, nel mio inverno ’85...

Questo è il tenerone che vede una foto oscena.

Questo è il tenerone che nasconde la testa nel pelo per l'imbarazzo.

Questo è il tenerone che torna fuori quando gli si preme la coda.

martedì 25 maggio 2004

I rifiuti

Oltre ai tradizionali bidoni per la raccolta differenziata di carta, vetro e plastica, in fondo alla mia via troneggia da pochi giorni un nuovo bidone, di un verde leggermente più chiaro di quello normale, adibito alla raccolta del verde (ramaglie, erba e vegetazione varia). Questa nuova iniziativa dell’amministrazione comunale, oltre a riempire le strade di decine di cassonetti nuovi di zecca, ha sollevato in me alcune perplessità. La prima è che il pedale per aprire il bidone non funziona tanto bene, solleva poco e se ci devi buttare dentro cose grosse la metà ti cade fuori e devi raccoglierla di nuovo, ma questo potrebbe anche interessare solo me e tutti quelli che dovranno raccogliere le loro ramaglie per terra. C’è però un’altra riflessione che viene spontaneo fare guardando quei bidoni: serviranno davvero a qualcosa? Credo che dovrebbe essere più chiaro alle autorità che il problema dello smaltimento dei rifiuti non va affrontato solo applicando alla lettera le direttive dell’Unione europea in materia, ma anche e soprattutto sensibilizzando prima l’opinione pubblica, non certo con l'ennesima, banale, pubblicità progresso.


A questo proposito mi ricordo un fatto, accaduto molti mesi fa a Udine, nel produttivo Nordest. L’inverno scorso, passando la domenica mattina presto per le strade della città, non era difficile imbattersi in strani oggetti appoggiati sulla porta d’ingresso delle case...


La sagoma di cartone di un benzinaio che porta in dono un lettore dvd
sulla porta di un'abitazione della periferia di Udine.



Molti cittadini ancora assonnati trovavano fuori dall’uscio nani da giardino, pupazzi, sagome di cartone, oggetti di modernariato, anche di un certo pregio estetico, che qualcuno incautamente aveva gettato via in luoghi non deputati alla raccolta dei rifiuti. Ma una banda di Robin Hood della spazzatura agiva silenziosa, il sabato notte, e raccoglieva questi oggetti ridistribuendoli alla popolazione, col chiaro messaggio sottinteso che questa società, invece di preoccuparsi solamente di comprare, consumare e buttare via, dovrebbe occuparsi di più del conservare, del riutilizzare e dell’evitare gli sprechi. Alcuni cittadini apprezzarono, raccogliendo con gioia questi doni a volte anche preziosi e facendone sfoggio con i vicini di casa, altri se la prendevano a male (non sono mancate denunce!), e si può dire che le reazioni iniziali della tranquilla cittadina di Udine erano tra il divertito e il preoccupato...
Nessuno sapeva nè chi fossero nè che cosa volessero questi alfieri del “garbage crossing”, come si autodefinirono in alcuni volantini (ma non si è mai saputo se fossero davvero autentici o opera di qualche mitomane). Fatto sta che questo fenomeno era stato capace di strappare un sorriso alle persone e di far pensare, tanto che sul quotidiano locale, il Messaggero Veneto, già si parlava di un concorso per il dono più bello ricevuto, premio che avrebbe senz'altro vinto un passeggino Chicco con dentro un'enorme testa di maiale di cartapesta, trovato da un mio vicino di casa fuori dalla porta, una piovosa mattina di novembre. Ma come spesso accade ai fenomeni di provincia tutto rientrò silenziosamente nei ranghi e dopo pochi mesi nessuno ne parlava già più. Solo in pochi ricordano le leggende che circolavano un tempo in città: si diceva che fossero dei comunisti e che tutto era stato architettato per danneggiare la sezione locale di Forza Italia (era il periodo delle elezioni regionali in Friuli) e in molti sostenevano che quel fantomatico gruppo stesse preparando un gesto eclatante, si pensava contro Bush e la guerra in Iraq, che sarebbe stato messo in scena in Piazza Primo Maggio, al centro della città. Ronde di poliziotti a tutte le ore forse impedirono quel gesto, che però poteva anche essere il frutto di suggestioni indipendentiste mai sopite da queste parti, chissà...


Il pupazzo di babbo natale ubriaco fuori dall'entrata di servizio di una villetta vicino al centro di Udine.




Dopo quei fatti la gente stava molto più attenta a lasciare oggetti per strada, o in mezzo alle piazze, perchè non si sapeva che fine avrebbero fatto, e si temeva magari di essere sospettati di far parte della famigerata banda.

Se c’è però una cosa che questi uomini misteriosi ci hanno insegnato è che la fantasia nel colpire l’immaginario collettivo serve molto di più di un cassonetto per la raccolta del verde, o delle pile scariche.

domenica 23 maggio 2004

Il ritorno

Nel bildungsroman della vita di Pingu ci sono diverse tipologie di viaggi, che si differenziano tra loro sia come approccio che come conseguenze.

Ci sono le avventure, solitamente drammatiche, che consistono nel portare a termine un piano preordinato, nel quale è chiaro il fine ma non è assolutamente chiaro il modo in cui lo si potrà ottenere. Proprio per questo gli esiti delle avventure possono essere delle meravigliose favole o, come sovente avviene, dei disastri in cui il crollo della cattedrale di pensieri costruiti nella mia mente va riedificato dalle fondamenta.

Vado là perchè devo assolutamente fare questa determinata cosa.

Il secondo tipo di viaggi sono le gite, che sono le parentesi felici con le persone con cui sto già bene, e sono viaggi esclusivamente di piacere, le vacanze che poi verranno ricordate come i momenti più belli e spensierati della mia vita.

Vado là perchè so che mi divertirò e starò bene con questa persona.

C’è poi un terzo tipo di viaggi, il cui scopo non risponde nè a un fine preciso nè all’unico intento di svagarsi, ma sono sentiti quasi come dei percorsi di iniziazione, dei momenti di passaggio, dei viaggi all’interno di sè più che all’esterno, in cui il conoscere (sè stessi, gli altri) avviene prima, durante e dopo l’azione del viaggiare.

Vado là per conoscere qualcosa che faceva già parte prima del mio immaginario, ne fa parte durante il viaggio e ne farà parte dopo, ma in questo passaggio dal prima al durante al dopo nulla resterà uguale perchè io stesso cambierò da una fase all’altra.

Tutto questo per dire che ieri, mentre stavo passando in autostrada vicino a Bari, ho visto il cartello per Castel del Monte e non ho potuto resistere alla tentazione di andarci. Pur senza trovare il mio Santo Graal in qualche passaggio segreto inaccessibile alla Harry Potter, ho provato una sensazione strana nel visitarlo. Mentre stavo seguendo tutto il percorso che va dal primo piano, quello dell'iniziazione, al secondo piano, il piano della luce, ho perso l’orientamento. Ho avuto la netta sensazione che tutto ciò volesse dire qualcosa, e mi sono fermato. Sono sceso di nuovo al piano terra, poi sono risalito attraverso le scale a chiocciola al piano superiore ma mi sono trovato in un punto diverso da quello di prima. Ho cercato di rifare il percorso ma ogni volta salivo su una rampa di scale diversa e mi trovavo in un punto diverso da prima.

Alla fine, per cercare di capirci qualcosa, mi sono affacciato alla finestra. Sotto c’era una guida che illustrava a un gruppo di turisti il cortile interno. Alcuni guardavano in alto verso di me. Ho sorriso con un lieve imbarazzo per mascherare l’impasse e ho percorso di nuovo tutte le stanze che potevo percorrere una dopo l’altra. Poi sono sceso per l’ultima volta, però non trovavo l’uscita. Ci sono 4 stanze percorribili al primo piano, una deve per forza essere l’uscita, ho pensato. Ma ogni stanza pareva portare alle altre stanze, mai alla porta d’ingresso da cui ero entrato. Stavo per chiedere a qualche turista tedesco come si facesse a uscire, quando ho letto su una piccola freccia verde la scritta “exit”.



A volte non occorre sbattere la testa sui muri per trovare le soluzioni ai propri problemi.
Basta saper leggere i cartelli.
In quel momento la verità mi era stata rivelata.

mercoledì 12 maggio 2004

La notte

Adoro quando nei film leggono delle lettere, forse perchè mi piace scriverle.
Ne 'la notte' di Antonioni i protagonisti sono una coppia in crisi, senza dialogo, consumata dalla noia e dall'abitudine. Lui è uno scrittore che sta diventando ormai famoso, e una sera vengono invitati a una festa dove entrambi sono attratti dalla possibilità del tradimento, ma per motivi diversi non succede niente. Finita la festa, all'alba, si ritrovano a parlarsi, quando non possono più evitarlo, e quando forse ormai è troppo tardi. Ad un tratto Lidia (Jeanne Moreau) tira fuori dalla borsa una lettera e comincia a leggerla a Giovanni (Marcello Mastroianni), che all'inizio non capisce esattamente di che cosa si tratti...

'Stamane tu dormivi ancora quando mi sono svegliato. A poco a poco, uscendo dal sonno, ho sentito il tuo respiro leggero, e attraverso i capelli che ti nascondevano il viso ho visto i tuoi occhi chiusi, e ho sentito che la commozione mi saliva alla gola, e avevo voglia di gridare e svegliarti perchè la tua stanchezza era troppo profonda e mortale. Nella penombra, la pelle delle tue braccia e della tua gola era viva, e io la sentivo tiepida e asciutta. Volevo passarvi sopra le labbra, ma il pensiero di poter turbare il tuo sonno e di averti ancora sveglia tra le mie braccia mi tratteneva. Preferivo averti così, come una cosa che nessuno poteva togliermi perchè ero il solo a possederla. Una tua immagine per sempre.

Oltre il tuo volto vedevo qualcosa di più puro e di più profondo in cui mi specchiavo. Vedevo te, in una dimensione che comprendeva tutto il mio tempo da vivere, tutti gli anni futuri e anche quelli che ho vissuto prima di conoscerti, ma già preparato ad incontrarti. Questo era il piccolo miracolo di un risveglio, sentire per la prima volta che tu mi appartenevi non solo in quel momento, e che la notte si prolungava per sempre, accanto a te, nel caldo del tuo sangue, dei tuoi pensieri, della tua volontà che si confondeva con la mia. Per un attimo ho capito quanto ti amavo, Lidia, ed è stata una sensazione così intensa che ne ho avuto gli occhi pieni di lacrime. Era perchè pensavo che questo non dovrebbe mai finire, che tutta la nostra vita dovrebbe essere per me come il risveglio di stamane. Sentirti non mia, ma addirittura una parte di me.

Una cosa che respira con me, e che niente potrà distruggere se non la torpida indifferenza di un'abitudine, che vedo come l'unica minaccia. E poi ti sei svegliata, e sorridendo ancora nel sonno mi hai baciato, e ho sentito che non dovevo temere niente, che noi saremo sempre come in quel momento, uniti da qualcosa che è più forte del tempo e dell'abitudine.'



La stessa lettera che un tempo era stata la promessa del loro avvenire,
ora era la certezza che il loro amore era finito per sempre.

martedì 11 maggio 2004

Dal medico

Oggi sono passato dal medico un attimo, per farmi fare una ricetta. C'era una persona prima di me, e così mi sono messo a leggere un numero di qualche mese fa della rivista "Intimità". Stavo leggendo la rubrica delle lettere sui problemi sentimental-sessuali, che di solito nei giornali femminili è quella che preferisco, quando è entrata la ragazza dei miei sogni. Timida, dolcissima, fragile, avrebbe potuto essere l'eroina di uno di quei romanzi dell'ottocento, una di quelle donne angeliche malate di tisi, che tutto a un tratto cominciano a tossire sangue in un fazzoletto bianco e poi lentamente muoiono, ma senza che la morte tolga loro neppure un velo di quella pallida ed eterea bellezza. Semplicemente sono troppo pure per far parte di questa terra sporca, malata in cui viviamo.

"Buonasera", fa lei (rivolta chiaramente a me, eravamo solo io e lei).
"Salve", faccio io (immediatamente pensando: ma che cazzo dici, imbecille).
Mentre vedevo nella mia mente l'immagine di lei che leggeva un libro seduta sulla poltrona di un antico palazzo di Pietroburgo e ormai "Intimità" serviva solo come scudo per nascondere il mio sguardo rapito, era arrivato il mio turno. Dopo aver parlato col medico, uscendo dalla porta, le passai accanto e con voce flebile le sussurrai un "ciao", detto così piano ma così piano che sarebbe bastato il volo di una mosca per coprirlo. Lei però l'aveva sentito, e con un sorriso angelico mi rispose: "ciao".

Fuori splendeva un bellissimo sole primaverile, con una leggera brezzolina. Salito sulla mia macchina, parcheggiata in divieto di sosta, ero stranamente contento. Nell'istante in cui accesi la macchina, dall'autoradio partirono le note di una canzone che iniziava con degli archi struggenti, e faceva così:

Nel mio cuor, nell'anima
c'e' un prato verde che mai
nessuno ha mai calpestato, nessuno
se tu vorrai conoscerlo, cammina piano perché
nel mio silenzio anche un sorriso può far rumore.

Nel mio cuor, nell'anima, tra fili d'erba vedrai
ombre lontane di gente sola che per un attimo e' stata qui
e che ora amo perché se n'è andata via
per lasciare posto a te, per lasciare posto a te.

In quel momento mi sforzai di non pensare agli orribili occhialini da sole tondi blu che M.Vandelli (quello che una volta era il cantante degli Equipe 84) indossava ormai vecchio e decrepito in tutte le trasmissioni tv di revival degli anni '60... Pensai invece agli occhi di quella ragazza, talmente verdi che se l'avessi vista piangere, una mattina d'inverno, mi sarebbero sembrati bagnati da alcune gocce di rugiada.

domenica 9 maggio 2004

Se telefonando

Nell'ottobre del 2002 andai con due miei amici a visitare la smau di Milano, visto che mi avevano dato dei biglietti omaggio. Il pomeriggio, girando in centro per Milano, mi fermai a guardare un gazebo dove facevano pubblicità a Fastweb, in una piazza di cui non so il nome, attratto da dei gadget che avevano sparsi dappertutto. A quel punto entrai sotto il tendone, parlai con una signorina e mi feci spiegare per filo e per segno l'offerta Internet di Fastweb. Per tutta la conversazione non avevo guardato neanche per un attimo gli occhi e il corpo della ragazza, che peraltro doveva essere sicuramente carina, perchè ero attratto da una serie di scatoline di cartone con gli occhietti che mi guardavano appoggiate su una mensola alle sue spalle. Alla fine, dopo circa 10 minuti di monologo, mi chiese se ero interessato a sottoscrivere l'abbonamento, e io le risposi che non ero di Milano, ma di Udine, e a Udine Fastweb non c'è. Però le chiesi se potevo tenere una di quelle scatoline, da regalare a mio nipote (è una scusa che uso spesso) e la ragazza, gentilmente, me la diede e mi salutò.
Pochi giorni dopo volevo dire a una persona che non vedevo da un po' di tempo che avevo voglia di sentirla, e che aspettavo una sua telefonata. Feci questa foto e gliela mandai via email, spiegandole che per qualche strano incantesimo mi ero trasformato in una scatolina, condannata a rimanere per sempre accanto al telefono ad aspettare, finchè lei non avesse chiamato. Alla fine credo telefonai io, ma non ricordo bene, e poi forse non è neanche così importante...

La scatolina al telefono, sulla mia scrivania.

giovedì 6 maggio 2004

Vita matrimoniale

L'altra sera, dopo una cena e un film con alcuni amici, sono rimaste sul tavolo due bottiglie di vino vuote. La mattina dopo le ho guardate, le ho fotografate, e ho pensato...
Come sarà la mia vita futura con la persona che amo? Se ci penso vedo due scenari possibili.
Il primo
è quello di me e lei felici in una grande casa colonica in campagna in mezzo agli alberi con 6-7 tra cani e gatti, un pony per i miei 3-4 bambini e un laghetto con i girini che poi diventano rane e nelle sere d'estate ci allietano le cene sotto la veranda assieme alle cicale, alle civette, ecc. ecc.

L'altro è di lei che mi lascia e torna da sua madre con i miei figli, e io rimango solo nella nostra casa sentendomi svuotato di tutto quello che ho dentro. Nel momento in cui lei chiude la porta, dopo il rumore di quella porta chiusa che ha messo fine a mesi di litigi ma anche all'amore più grande della mia vita, mi vedo mentre tiro fuori una bottiglia dal frigo, la stappo e la poggio su una mensola. Poi prendo un 45 giri di Piero Ciampi (che non ho) dallo scaffale, lo metto sul giradischi (che non ho), sento il rumore della puntina che gratta sul disco e, ripresa in mano la bottiglia, mi siedo sul divano, e ricordo...proprio su quel divano in cui giocavo coi bambini, che non mi facevano mai vedere la tv in pace, la sera, prima di addormentarsi.

Il divano su cui immagino di sedermi in quel tragico giorno.

Mentre bevo a canna dalla bottiglia, ascoltando il disco con la tv accesa su un canale a caso senza volume, penso che Piero aveva già predetto tutto, in fondo le canzoni così tristi sono fatte proprio per i momenti come quello, e mentre trattengo a stento le lacrime lo sento cantare questa canzone...

"Hai lasciato a casa il tuo sorriso,
forse sopra un libro
o nel vetro del tuo specchio.
Hai lasciato a casa quasi tutto del tuo viso,
senza una parola stringi la mia mano,
stasera tu hai lasciato a casa il tuo sorriso,
forse in fondo a un quadro
o tra i fiori del giardino.
Mentre ci lasciamo
sento ormai che son perdute
quelle cose tanto piccole,
quelle frasi così semplici
che chiedevano soltanto il tuo sorriso
".

Sul tavolo, quando mi addormento sul divano a tarda notte, restano solo due bottiglie vuote.
Proprio come queste.

La verità sulla mia vita, come spesso accade, forse starà nel mezzo.

mercoledì 5 maggio 2004

La corona di arianna

In una giornata di pioggia come questa la colonna sonora ideale è il nuovo ep dei Clientele, l'Ariadne ep, e in particolare il pezzo "Ariadne sleeping", di solo piano, che come stile mi ricorda Erik Satie.

Questa è la bellissima copertina di Suburban Light, il mio disco preferito dei Clientele.

L'idea dell'Ariadne ep è venuta ai Clientele dopo aver visitato una mostra dedicata al mito di Arianna nell’arte di De Chirico, all'Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra nel 2003.
Il soggetto di una serie di dipinti di De Chirico è infatti una scultura di donna dormiente, ripreso da un marmo romano dei Musei Vaticani, a sua volta copia di un originale ellenistico, che raffigura Arianna abbandonata sull’isola di Dia da Teseo.

Arianna, innamorata di Teseo, tradì suo padre Minosse pur di aiutarlo a uscire dal labirinto dove aveva ucciso il Minotauro. Teseo salpò via con lei, dopo averle promesso il suo amore, ma non appena ebbero raggiunto l'isola di Dia, lui l'abbandonò. E' proprio il motivo di Arianna malinconica, abbandonata dall'amante sulla spiaggia deserta di Dia (oggi Naxos), che ricorre in alcuni quadri di De Chirico, come il famoso "Melanconia" (1912).

Una delle tante versioni del mito racconta che la profonda disperazione di Arianna durò sino a quando non conobbe Dioniso. Il dio si intenerì alla vista della fanciulla afflitta e la volle sposare.
Afrodite diede ad Arianna come dono nuziale una corona, che Dioniso per la felicità dopo la cerimonia lanciò tra le stelle, dove rimase per ricordare perennemente la loro storia d'amore.
La corona australe è infatti ancora lì, non a caso proprio vicino al sagittario, il mio segno, assieme al quale è spesso raffigurata.


Ovidio nelle Heroides immagina che Arianna, nella solitudine di Naxos, scriva una struggente lettera a Teseo, invocandone il ritorno. Nella mente di Arianna riecheggiano ancora le parole di lui, alle quali lei aveva creduto incondizionatamente:


Allora mi dicevi:
«Giuro su questi stessi pericoli, che sarai mia finché entrambi vivremo».
Viviamo, e non sono tua, Teseo.

domenica 2 maggio 2004

La mia sveglia giapponese

Questa è la mia sveglia giapponese. Funziona ad energia solare. La mattina, al sorgere del sole, la luce che entra dalle mie finestre (senza tapparelle) la carica e le fa emettere ogni 10 minuti il cinguettio degli uccellini sugli alberi. In realtà avrei anche gli uccellini veri sugli alberi, e quindi la sveglia è abbastanza inutile. A dirla proprio tutta, nè gli uccellini sugli alberi nè la sveglia, con il loro piacevole suono mattutino, mi fanno alzare dal letto. E poi d'inverno col buio fuori la sveglia comincia a suonare comunque dopo le 9.30...
Credo sia per questo che faccio sempre fatica ad alzarmi la mattina.