sabato 30 ottobre 2004

La nausea

Ero rimasto da solo per tanto tempo, anzi, si può dire che ero sempre stato solo. Arrivato a vent'anni, sette mesi e ventisette giorni di vita, finalmente anche io potevo dire, come il mio spirito-guida Morrissey:

Ho fatto un sogno davvero brutto
E' durato 20 anni, 7 mesi e 27 giorni
Mai avuto nessuno, proprio mai

Anche se ero ancora così giovane, fu facile per me cadere nella fase "Antoine Roquentin" della mia vita. Leggendo 'la Nausea' di Sartre col maglione a collo alto comprato per l'occasione, anch'io come lui riflettevo sulla vacuità del mondo.

Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso.
E quando vi capita di rendervene conto,
vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea.

Io però, più che meditare sull'assurdità dell'esistenza, soffrivo pensando a quello che mi mancava per essere felice. Certo, la mia vita mi pareva indubbiamente priva di senso, ma chissà perchè non riuscivo proprio ad allargare quella mia visione nichilista anche a tutto ciò che mi circondava, al mondo intero. Anzi, gli altri mi pareva che si divertissero. Mentre leggevo 'ogni esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione', insomma, credevo che quella fosse la storia della mia vita, non la storia dell'umanità. Solo ora capisco che era il mio essere adolescente e, come tale, egocentrico, a impedirmi di vedere le cose come stavano in realtà. Così alla fine invece di pormi delle domande sul senso della vita mi ponevo solo delle domande su me stesso. Invece di chiedermi perchè esistesse quell'albero che vedevo dalla mia finestra, o che senso avessero quegli uccellini che cinguettavano là fuori, avevo un'unica grande domanda a cui non trovavo risposta:

perchè sono solo?

Ad un certo punto nel libro entra in scena Anny, una donna alla quale Antoine era stato legato tanti anni prima, e che non aveva mai dimenticato. Anny cerca di fargli capire che cosa intendeva quando da giovane gli parlava dei 'momenti perfetti', l'ultimo romantico rifugio per sfuggire alla cruda realtà.

Per spiegarlo con un esempio, gli ricorda un vecchio episodio avvenuto all'inizio della loro relazione, quando lei ancora si illudeva di poter trasformare la sua vita in un romanzo dove tutto sembrava perfetto, anche se non lo era. Così un bacio sulle ortiche poteva trasformarsi in un eroico gesto d'amore...

Tu non ti ricordi, naturalmente, la prima volta che t'ho baciato?"

"Si, benissimo" dico trionfalmente. "Fu nel giardino di Kiew, in riva la Tamigi."

"ma quello che non hai mai saputo è che m'ero seduta sulle ortiche, la veste mi si era alzata e avevo le cosce piene di punture, e al minimo movimento erano altre punture. Ebbene, lì lo stoicismo non sarebbe bastato. Tu non mi turbavi affatto, non avevo una voglia particolare delle tue labbra, quel bacio che stavo per darti aveva un'importanza ben più grande, era un impegno, un patto. E allora, tu lo capisci, non mi era permesso pensare alle mie cosce in un momento come quello. Non bastava non notare la mia sofferenza: bisognava non soffrire."

Mi guarda fieramente, ancora piena di sorpresa per quello che ha fatto:

"Per più di venti minuti, per tutto il tempo in cui tu insistevi per averlo, quel bacio che ero ben decisa di darti, per tutto il tempo in cui mi facevo pregare - poiché bisognava dartelo secondo le forme - arrivai ad anestetizzarmi completamente, e Dio lo sa se ho la pelle sensibile; non sentii niente, fino a quando non ci rialzammo."

Qualche tempo dopo conobbi quella che sarebbe diventata la mia prima ragazza, e riuscii a chiederle un primo appuntamento. Era in un pub vicino a Udine, un posto dove ogni tanto suonavano i gruppetti locali. Mi ricordo quella scena come fosse ieri. Io e lei, seduti sul divanetto. Dietro di noi, attorno al biliardo, dei metallari in camicia di flanella a quadrettoni discutevano tranquillamente davanti a una birra. Lei era bellissima. Jeans chiari, giacchetta adidas azzurra presa in qualche negozietto dell'usato, occhi e capelli neri che facevano risaltare ancora di più il rossetto rosso acceso. La nostra conversazione procedeva con un po' di imbarazzo, forse perchè mi sentivo sotto esame. Eppure, per essere più rilassato, prima di uscire avevo bevuto un bicchiere da tavola di Cointreau...

Per rompere il ghiaccio vado a prendere due birre al banco, da buon cavaliere - la birra è un errore imperdonabile dopo il Cointreau - e finalmente riesco a fare anche qualche battuta simpatica. Ad un tratto lei mi fa: "vuoi una sigaretta?".

Io non fumavo mai sigarette, allora, ma non potevo certo rifiutare quella cortesia. Oltretutto quando fumi è come quando mangi, non puoi parlare con la bocca piena. E così ti prendi le tue pause, mentre con sguardo pensoso aspiri ed espiri.

Al termine della sigaretta, fumata avidamente, comincio però a sentire un leggero giramento di testa. Provo con un sorso di birra, magari ho solo la gola secca.
Ma avverto sempre di più una sensazione di Nausea. Come Roquentin, penso. Concentrato su come risolvere il problema, riesco sempre meno a pensare a cosa dire. Mi agito, e la Nausea aumenta, sempre di più. Sapendo a cosa poteva portare questo circolo vizioso, mi alzo e con un aplomb perfetto, tra il distratto e il distaccato, sudando freddo le dico: "scusa, vado un secondo in bagno".

Era passato meno di un minuto e avevo già vomitato nell'orrendo ed angusto cesso del locale, dopo essermi messo chirurgicamente un dito in gola, concludendo infine l'opera con dei gargarismi d'acqua per eliminare ogni traccia del mio malessere. Una vigorsol avrebbe poi fatto il resto. Riseduto sul divano, sapevo che ormai ce l'avevo fatta. La testa girava un po' meno, e lo scampato pericolo mi dava quell'euforia che devono avere i soldati, quando rientrano sani e salvi da una difficile missione. Poco dopo, usciti dal locale, siamo saliti in macchina, senza fretta di partire. Vista da così vicino, con la testa poggiata sulla mia spalla, sembrava ancora più bella. Mentre la baciavo e le annusavo il profumo sul collo, pensavo che quella sera avevo vissuto il primo momento perfetto della mia vita.

venerdì 22 ottobre 2004

Scarpe nuove

L'altro giorno, dopo aver guardato un bellissimo disegno di Luke Chueh, ho riflettuto a lungo sull'inutilità di tutti gli acquisti che ho fatto nell'ultimo mese. Sarà il senso di abbandono, la solitudine o solo la noia che impera sovrana in questo momento nella mia vita, ma il bisogno di shopping terapeutico si era fatto davvero preoccupante (uso il passato per convincermi che sia finito). Non è tanto il senso di colpa di aver dilapidato l'equivalente di uno stipendio senza averne uno, in fondo sono soldi che mi sono guadagnato, con qualche lavoretto qua e là. E non è neanche il modo, a me piacciono gli acquisti d'impulso e mi capita spesso di concentrarli negli stessi periodi. Sono proprio le cose che ho comprato, a lasciarmi perplesso. Come se dietro ad ogni acquisto ci fosse un messaggio implicito, che il mio subconscio sta cercando di mandarmi, e che io faccio di tutto per non leggere. Oggi, mentre mettevo ordine tra le mie cose, quel messaggio è venuto prepotentemente alla luce, senza che ci fossse bisogno di un analista per comprenderlo nella sua gravità.

I miei anfibi vecchi (a sinistra) e quelli che ho comperato una settimana fa (a destra).

Certo, gli anfibi che avevo prima erano un po' malandati e poi, anche se non si vede bene dalla foto, erano di un colore leggermente diverso, e soprattutto erano di circa mezzo numero troppo stretti, e a camminarci tanto non erano così comodi. Spero che questi tre buoni motivi mi spingano ad usare quelli nuovi, superando il legame sentimentale con i miei vecchi anfibi, che mi hanno accompagnato negli ultimi quattro anni. Ogni tanto, ne sono sicuro, li ritirerò fuori dall'armadio.
Un indizio non fa una prova, ma già con due il sospetto comincia ad esserci. E così messe una vicino all'altra la mia vecchia giacca e quella nuova non sono così facili da distinguere...

La mia vecchia giacca di pelle appesa accando a quella nuova
(si riconosce perchè è quella che imbraccia la chitarra).

Beh, che ci devo fare, se mi piacciono le giacche di pelle avrò pure il diritto di comprarmene due o tre, nel caso in cui una per un motivo o per un'altro sia indisponibile (che poi ora non mi vengano in mente dei motivi per cui una giacca di pelle possa essere indisponibile è un altro discorso, che non prendo neanche in considerazione). In ogni caso, meglio averne due che nessuna. Poi, come nel caso delle scarpe, alcune piccole differenze ci sono, anche se ieri ero convintissimo di indossare quella nuova che invece, dopo un'attenta analisi, si è rivelata essere quella vecchia.

Entrambe comunque sono in tinta con il mio nuovo telefono,
che ha sostituito il mio vecchio telefono.

Qui la spiegazione sembra reggere, se consideriamo il fatto che il mio vecchio telefono non funzionava più. Poi, certo, se avessi saputo prima di prendere quello nuovo che bastava cambiare la batteria, forse mi sarei tenuto quello vecchio. Ma a far la morale dopo che le cose sono già successe, sono bravi tutti. In ogni caso poco male, in fondo se si guasta uno dei due, ecco pronto il suo sostituto, meglio di così...
Ma ecco, ora che ci penso ho comprato anche un po' di libri e dvd, ultimamente, e quelli di certo non li avevo già. Quindi tutti questi non erano dei segnali che sono solo come un cane, ho bisogno di affetto e cerco di sfogarmi comprando cose che non mi servono. Erano solo delle eccezioni, degli errori, delle comuni distrazioni. Un vezzo, diciamo. Mi piacciono più o meno le stesse cose, vabè, capita, ci sono anche difetti peggiori. Ma almeno non lo faccio perchè mi rifiuto di elaborare un trauma, una perdita...
Ecco, gli acquisti di dvd sembrano proprio contraddire quel subdolo teorema. Bene. Diamo una scorsa ai titoli: Jules e Jim, si, vabbè, ce l'avevo già, ma non in dvd effettivamente. Anche il Dottor Zivago, ok, ne avevo una versione in vhs e una in divx, ma vuoi mettere quella bella scatolina di plastica da mettere sullo scaffale. Il raggio verde, si, la videocassetta l'avevo regalata, ce l'avevo solo in divx, ma metti che lo debba prestare a qualcuno, insomma, capita, così ce l'ho in due versioni pure questo.

Mmm, in effetti ce li avevo già tutti e tre, i film che ho comperato.

Comincia a sorgermi il dubbio che questa catena di acquisti abbia una motivazione al di fuori degli oggetti in sè. Che, ci tengo a precisarlo, sono tutti oggetti di ottima fattura, e sono tutte cose che mi piacciono molto. Ma questo, tocca ammetterlo, non dovrebbe impedirmi di comperare cose differenti.
Il fatto forse è che non mi serviva nulla. Magari avevo solo bisogno di una passeggiata con qualcuno, di una cena, del vino, e una ragazza che sorride, davanti a me. Ora, certo, potrei portarla fuori con una giacca di pelle e degli anfibi nuovi, potrei chiamarla con un nuovo telefono, o mostrarle il mio corredo di calzini blu tutti uguali, o i miei jeans di sfumature impercettibilmente diverse. Ora, volendo, potrei fotografare il suo sorriso con la mia nuova macchinetta fotografica digitale, che ha sostituito quella vecchia, ormai vetusta, acquistata quasi un anno fa.

La mia nuova macchinetta fotografica digitale.

Si, beh, ha le stesse funzionalità di quella che avevo prima, anzi, è anche un po' più difficile da usare, però è di almeno due centimetri più stretta. Te la puoi portare perfino nella tasca della giacca...
Beh, uhm, anche quella vecchia la portavo nella tasca della giacca vecchia. Maledizione, non riesco proprio a venirne fuori. Che drammatica realtà sto cercando di nascondere circondandomi di oggetti inutili nell'illusione che l'acquistarli mi renda felice? E poi se voglio essere davvero felice che cosa devo fare? Devo conoscere persone nuove? E come si fa, devo uscire di casa? E poi?

'E quando vuoi vivere, da che parte cominci? Dove vai? Chi hai bisogno di conoscere?'

(Smiths, The Boy With The Thorn In His Side)

lunedì 18 ottobre 2004

Il risveglio

Prologo.

Che ci faccio qui? Mentre mi giro nel letto mi sembra di aver dormito per cinquant'anni. Mi sento tutte le ossa rotte, e i muscoli rattrappiti di un vecchio clochard che ha passato la notte riparato da un cartone per il freddo. Piano, forse riesco ad alzarmi. Comincio a ricordare dove sono. No, non è un ospedale, queste pareti le conosco. Anche quello spigolo lì, dove stavo per battere la testa. Non lo vedo ma lo sento che c'è. Mi alzo, e subito colpisco qualcosa col piede. Rotola per terra un piccolo cestino portarifiuti verde, chissà chi l'aveva messo lì...Poi, con movimenti lenti ma precisi, riprendo il controllo. La vestaglia scozzese, lunga e calda fino alle caviglie. Gli occhiali da sole, trovati sul comodino frugando un po'. Manca solo il sigaro e un bicchiere di Whiskey, penso. Ma entrando in bagno trovo solo piccole fialette monodose di collirio e delle salviettine sterili con cui pulirmi il viso. Con gli occhiali da sole ora posso aprire un po' di più le fessure dei miei occhi, e quando mi giro per vedere chi è che apre la porta distinguo a fatica una signora di meza età dall'aspetto gentile, che con aria severa ma buona mi fa: "Ah, finalmente ti sei svegliato". Sospettoso la guardo meglio, stringendo al massimo le palpebre, e da quell'anfratto mi pare di riconoscerla. Emetto un verso, un misto di dolore e desiderio di compatimento, e mi dirigo a piccoli passi verso il letto, per stendermi e mettermi il collirio.

"Mà, mi scaldi un po' di latte?".
E' il primo vagito della mia seconda vita
.

Gli occhiali da sole, mio unico riparo dalla luce in questi giorni.

La guarigione.

Non c'è niente di più romantico, in senso assoluto, della malattia, se non le sue più dirette conseguenze: la morte e la guarigione. Che sono, a ben vedere, concetti neanche troppo distanti. Sono queste, in estrema sintesi, le conseguenze a cui sono giunto dopo aver passato cinque lunghissimi giorni chiuso in camera nel buio completo, dopo un'operazione agli occhi, senza avere null'altro da fare se non pensare (e Dio solo sa quanto avessi bisogno di fare tutt'altro).
E così passavo le notti rimirando le righine di luce tra le tapparelle, e i lunghi giorni creando splendide geometrie nel buio dei miei occhi chiusi. Se per i primi due giorni almeno il dolore fisico era capace di distrarmi, nei giorni seguenti non potevo sfuggire ancora al confronto con le incertezze della mia vita. Anzi, un modo a dire il vero c'era, e fu un'epifania di Leonard Cohen in sogno a suggerirmelo (o forse ero sveglio, chi può dirlo). Mentre già tremavo al pensiero di tutto quel tempo in cui potevo solamente pensare ai miei problemi, venne in mio soccorso il suo viso benevolo. Attorno a lui un coro di angeli cantava la sua "sisters of mercy" in italiano. Ho ancora in mente quelle parole:

Sono coricate al mio fianco
Mi sono confessato a loro
Hanno toccato tutti e due i miei occhi
E io ho toccato la rugiada sull'orlo delle loro vesti
Se la tua vita è una foglia
Che le stagioni strappano via e condannano
Loro ti terranno attaccato con l'amore
Che è leggiadro e verde come uno stelo

Il mio occhio prima dell'operazione...

Doveva essere un segnale del Divino, visto che il giorno dopo una delle sorelle della misericordia che mi hanno accompagnato finora nella vita venne a far visita alla mia mente. Il mal di testa stava passando, e mi ero deciso ad ascoltare un po' di musica con le cuffie. I primi giorni dopo l'intervento dormivo però nella mia vecchia camera di sotto (la mansarda era troppo luminosa), e non avevo nè stereo nè mp3, ma solo tutta la mia raccolta di vecchi, desueti cd audio. Andando a tastoni, ero arrivato al reparto delle vecchie compilation che ascoltavo in macchina. Gli antenati delle pingu compilation odierne, si può dire, erano infatti le rozze e spartane aa.vv., e in seguito quelle intitolate per giorno/mese/anno. La scelta cadde su queste ultime, forse perchè hanno canzoni più recenti, e quindi sono più a portata di mano nello scaffale. La distinzione tra una vv.aa. e una compilation giorno/mese/anno, comunque, non è solo temporale, ma rappresenta anche un altro passaggio (tra due sisters of mercy, diciamo). Questo per dire che anche se la scelta di una serie di compilation al posto di un'altra non ha influenzato la mia guarigione, ha materializzato comunque nella mia mente una serie di ricordi legati a quelle canzoni e alla persona con cui le avevo ascoltate. E così anche io, come i Trembling Blue Stars in "Abba on the Jukebox", ho potuto rivedere nella mia mente le più belle, semplici, banali e felici immagini di una storia d'amore.

La strada sulle colline per andare a Monfumo, in primavera;
(looper, on the flipside)

in macchina mentre andiamo al concerto delle pink bubbles;
(primal scream, keep your dreams)

una domenica d'estate agli Englisher Garten;
(anywhen, all that numbs you)

l'autoradio, le luci di Trieste in lontananza, e tu che mi dormi vicino;
(r.e.m., nightswimming)

in viaggio verso Palermo di notte, in una cuccetta da sei, mentre fingo di dormire
ma ascoltando il walkman controllo che il tuo vicino di posto non ti tagli la gola con un coltello;
(hood, they remove all trace that anything had never happened here)

la sosta per le cipolline borettane alla conad;
(doves, friday's dust)

nel parcheggio del centro giovanile aspettando Vale e Nico,
e nella colonna sonora del tuo spettacolo;
(mùm, there is a number of small things)

tu e Laura che cercate di cantare l'inizio di 'gabriel' in macchina;
(lamb, gabriel)

io che tampono una macchina per insegnarti i parcheggi in salita,
e tu che cerchi farmi cantare wild is the wind;
(nina simone, wild is the wind)

il sole a Monfumo la domenica pomeriggio, la nostra ultima estate;
(neil halstead, two stones in my pocket)

...il mio occhio dopo l'operazione.

Forse era proprio destino che fosse lei ad accompagnarmi in questi giorni. Quando l'ho conosciuta mi disse che era reduce da un intervento all'occhio per un orzaiolo, e questa cosa mi affascinava particolarmente, anche perchè pensavo che l'orzaiolo esistesse solo nei romanzi di Tolstoj. Quando la mia eroina da romanzo russo guarì dal suo orzaiolo, guarì anche me da un male diverso, e più difficile da estirpare. Mi regalò poi due anni bellissimi, e se mi venisse la tentazione di domandarmi perchè furono solo due anni e non una vita intera, beh, allora dovrei chiedermi anche perchè il male che avevo prima di lei non è durato una vita intera. Alla fine se possiamo guarire dalle malattie, se possiamo aiutare qualcuno a guarirne, se ci restano tanti bellissimi ricordi, se possiamo stare cinque giorni al buio senza vedere la luce e poi, tutto a un tratto, risvegliarci e ricominciare come fosse la prima volta che abbiamo aperto gli occhi, beh, ditemi voi se non ci sono abbastanza motivi per essere ottimisti...

martedì 5 ottobre 2004

Cherry blossom girl

Entri in una stanza, e ti sembra carina, arredata con gusto. Ti siedi, ti guardi intorno, cerchi con lo sguardo: si, c'è anche il bagno, pensi. Noti un po' di polvere sul tappeto, e un letto sfatto. Ad un tratto ti volti verso lo stereo sulla scrivania. Comincia una canzone...

I dont want to be shy Non voglio essere timido
Cant stand it anymore
Non posso più sopportarlo
I just want to say hi
Voglio solo dire ciao
To the one I love Alla persona che amo
Cherry blossom girl
Ragazza del fiore di ciliegia

Ti siedi sul letto, piano, come se temessi di sprofondare nel materasso. Cominci a guardare le porte che danno su altre stanze. La porta d'ingresso, quella del bagno, proprio di fianco a te, poi quella del terrazzo, dalla parte opposta, e infine una porticina alle tue spalle, ma non deve portare in nessun'altra stanza. E' solo un ripostiglio, pensi. Solo un ripostiglio. Chissà cosa ci sarà dentro. C'è come un cartello, davanti, che dice di non entrare.

I feel sick all day long Sto male tutto il giorno
From not being with you Perchè non sono con te
I just want to go out Voglio solo uscire
Ever night for a while Ogni notte per un momento
Cherry blossom girl Ragazza del fiore di ciliegia
Tell me why cant it be true Dimmi perchè non può essere vero

Ti imbarazza stare lì immobile, e così ti alzi e ti avvicini a due foto in bianco e nero, appese tra la scrivania e il letto, che hanno subito attirato la tua curiosità. Sono due fotogrammi di un film, e mentre leggi le frasi che ci sono scritte, le frasi che quei due attori hanno pronunciato tanto tempo fa, le senti familiari. E' come se facessero parte di un mondo lontano, ma che conosci bene. Chissà perchè sono state messe lì, pensi. Le parole non sono mai uno specchio fedele dei sentimenti. E così queste due frasi, più che chiarirti le idee, emanano una luce fioca, tremolante.

I never talk to you Non ti ho mai parlato
People say that I should Le persone dicono che dovrei farlo
I can pray everyday Posso pregare ogni giorno
For the moment to come Perchè arrivi il momento
Cherry blossom girl Ragazza del fiore di ciliegia

La scrivania è a un passo. E' forse la parte più disordinata della stanza: piena di oggetti, cianfrusaglie colorate, fotografie, cavi. Dà la stessa sensazione di quegli scatoloni che trovi in soffitta, messi lì chissà quando e da chi. Magari qualcuno un giorno ha deciso di fare le pulizie e ha messo da parte tutti gli oggetti inutili, ma non così tanto da essere buttati via. Perchè certi oggetti, anche se non te ne fai di niente, hanno un'anima. E' l'anima di chi li ha usati, o l'anima della persona che te li ha dati. Proprio come quelle frasi scritte sulle foto: sono sì le parole di quel film, ma raccontano anche la vita di qualcun altro. Tutto, qui tra le pareti di questa stanza, sembra parlarti di questo. E la canzone, intanto, continua.

I just want to be sure Voglio solo essere sicuro
When I will come to you Che quando verrò da te
When the time will be gone Che quando sarà passato tutto il tempo
You will be by my side
Tu sarai al mio fianco
Cherry Blossom Girl Ragazza del fiore di ciliegia
Tell me why cant it be true Dimmi perchè non può essere vero

Spostandoti, di fianco alla scrivania vedi una specie di collage di fotografie, ritagli di giornali, copertine di cd. Guardi le immagini, illuminate dalla luce azzurrata del neon, cercando dei nessi che forse non ci sono. Ti sembra tutto così confuso, ora. Torni indietro con gli occhi: il poster, il 45 giri appeso sulla porta del ripostiglio, i due fotogrammi del film, il collage che stai guardando ora...
E
ppure in questa continuità, in questo percorso, non c'è nessun filo a guidarti. Il tuo sguardo si sofferma sulle foto più in basso nel collage: sembrano appese lì da poco, perchè sono attaccate un po' meglio delle altre. Sono prove più recenti, ma non ti aiutano lo stesso. Alla fine ti cadono gli occhi su una piccola conchiglia rosa, poggiata sulla scrivania. Guardandola da vicino, ci si accorge che è incrinata in più punti, come se accidentalmente si fosse frantumata e qualcuno ne avesse incollato i pezzi con cura. Doveva essere preziosa, pensi, per meritare questo trattamento.

I'll never love again Non mi innamorarerò mai di nuovo
Can I say that to you?
Posso dirtelo?
Will you run away Scapperai via
If I try to be true Se proverò a essere sincero?
Cherry blossom girl Ragazza del fiore di ciliegia

Ti risiedi sul letto, saranno passati pochi secondi da quando sei entrata in questa stanza.
Pensi un attimo in silenzio, ti giri verso la scrivania e dici:

"Qu
esta stanza mi sembra un libro, ma è come se non conoscessi la lingua in cui è scritto.
Mi racconti la tua storia?"

Cherry Blossom Girl Ragazza del fiore di ciliegia
I'll always be there for you Sarò sempre lì per te
That means no time to waste Che non vuol dire gettare via il mio tempo
Whenever there's a chance C'è sempre una possibilità
Cherry blossom girl Ragazza del fiore di ciliegia
Tell me why cant it be true Dimmi perchè non può essere vero