sabato 30 ottobre 2004

La nausea

Ero rimasto da solo per tanto tempo, anzi, si può dire che ero sempre stato solo. Arrivato a vent'anni, sette mesi e ventisette giorni di vita, finalmente anche io potevo dire, come il mio spirito-guida Morrissey:

Ho fatto un sogno davvero brutto
E' durato 20 anni, 7 mesi e 27 giorni
Mai avuto nessuno, proprio mai

Anche se ero ancora così giovane, fu facile per me cadere nella fase "Antoine Roquentin" della mia vita. Leggendo 'la Nausea' di Sartre col maglione a collo alto comprato per l'occasione, anch'io come lui riflettevo sulla vacuità del mondo.

Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso.
E quando vi capita di rendervene conto,
vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea.

Io però, più che meditare sull'assurdità dell'esistenza, soffrivo pensando a quello che mi mancava per essere felice. Certo, la mia vita mi pareva indubbiamente priva di senso, ma chissà perchè non riuscivo proprio ad allargare quella mia visione nichilista anche a tutto ciò che mi circondava, al mondo intero. Anzi, gli altri mi pareva che si divertissero. Mentre leggevo 'ogni esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione', insomma, credevo che quella fosse la storia della mia vita, non la storia dell'umanità. Solo ora capisco che era il mio essere adolescente e, come tale, egocentrico, a impedirmi di vedere le cose come stavano in realtà. Così alla fine invece di pormi delle domande sul senso della vita mi ponevo solo delle domande su me stesso. Invece di chiedermi perchè esistesse quell'albero che vedevo dalla mia finestra, o che senso avessero quegli uccellini che cinguettavano là fuori, avevo un'unica grande domanda a cui non trovavo risposta:

perchè sono solo?

Ad un certo punto nel libro entra in scena Anny, una donna alla quale Antoine era stato legato tanti anni prima, e che non aveva mai dimenticato. Anny cerca di fargli capire che cosa intendeva quando da giovane gli parlava dei 'momenti perfetti', l'ultimo romantico rifugio per sfuggire alla cruda realtà.

Per spiegarlo con un esempio, gli ricorda un vecchio episodio avvenuto all'inizio della loro relazione, quando lei ancora si illudeva di poter trasformare la sua vita in un romanzo dove tutto sembrava perfetto, anche se non lo era. Così un bacio sulle ortiche poteva trasformarsi in un eroico gesto d'amore...

Tu non ti ricordi, naturalmente, la prima volta che t'ho baciato?"

"Si, benissimo" dico trionfalmente. "Fu nel giardino di Kiew, in riva la Tamigi."

"ma quello che non hai mai saputo è che m'ero seduta sulle ortiche, la veste mi si era alzata e avevo le cosce piene di punture, e al minimo movimento erano altre punture. Ebbene, lì lo stoicismo non sarebbe bastato. Tu non mi turbavi affatto, non avevo una voglia particolare delle tue labbra, quel bacio che stavo per darti aveva un'importanza ben più grande, era un impegno, un patto. E allora, tu lo capisci, non mi era permesso pensare alle mie cosce in un momento come quello. Non bastava non notare la mia sofferenza: bisognava non soffrire."

Mi guarda fieramente, ancora piena di sorpresa per quello che ha fatto:

"Per più di venti minuti, per tutto il tempo in cui tu insistevi per averlo, quel bacio che ero ben decisa di darti, per tutto il tempo in cui mi facevo pregare - poiché bisognava dartelo secondo le forme - arrivai ad anestetizzarmi completamente, e Dio lo sa se ho la pelle sensibile; non sentii niente, fino a quando non ci rialzammo."

Qualche tempo dopo conobbi quella che sarebbe diventata la mia prima ragazza, e riuscii a chiederle un primo appuntamento. Era in un pub vicino a Udine, un posto dove ogni tanto suonavano i gruppetti locali. Mi ricordo quella scena come fosse ieri. Io e lei, seduti sul divanetto. Dietro di noi, attorno al biliardo, dei metallari in camicia di flanella a quadrettoni discutevano tranquillamente davanti a una birra. Lei era bellissima. Jeans chiari, giacchetta adidas azzurra presa in qualche negozietto dell'usato, occhi e capelli neri che facevano risaltare ancora di più il rossetto rosso acceso. La nostra conversazione procedeva con un po' di imbarazzo, forse perchè mi sentivo sotto esame. Eppure, per essere più rilassato, prima di uscire avevo bevuto un bicchiere da tavola di Cointreau...

Per rompere il ghiaccio vado a prendere due birre al banco, da buon cavaliere - la birra è un errore imperdonabile dopo il Cointreau - e finalmente riesco a fare anche qualche battuta simpatica. Ad un tratto lei mi fa: "vuoi una sigaretta?".

Io non fumavo mai sigarette, allora, ma non potevo certo rifiutare quella cortesia. Oltretutto quando fumi è come quando mangi, non puoi parlare con la bocca piena. E così ti prendi le tue pause, mentre con sguardo pensoso aspiri ed espiri.

Al termine della sigaretta, fumata avidamente, comincio però a sentire un leggero giramento di testa. Provo con un sorso di birra, magari ho solo la gola secca.
Ma avverto sempre di più una sensazione di Nausea. Come Roquentin, penso. Concentrato su come risolvere il problema, riesco sempre meno a pensare a cosa dire. Mi agito, e la Nausea aumenta, sempre di più. Sapendo a cosa poteva portare questo circolo vizioso, mi alzo e con un aplomb perfetto, tra il distratto e il distaccato, sudando freddo le dico: "scusa, vado un secondo in bagno".

Era passato meno di un minuto e avevo già vomitato nell'orrendo ed angusto cesso del locale, dopo essermi messo chirurgicamente un dito in gola, concludendo infine l'opera con dei gargarismi d'acqua per eliminare ogni traccia del mio malessere. Una vigorsol avrebbe poi fatto il resto. Riseduto sul divano, sapevo che ormai ce l'avevo fatta. La testa girava un po' meno, e lo scampato pericolo mi dava quell'euforia che devono avere i soldati, quando rientrano sani e salvi da una difficile missione. Poco dopo, usciti dal locale, siamo saliti in macchina, senza fretta di partire. Vista da così vicino, con la testa poggiata sulla mia spalla, sembrava ancora più bella. Mentre la baciavo e le annusavo il profumo sul collo, pensavo che quella sera avevo vissuto il primo momento perfetto della mia vita.

6 commenti:

  1. sono piccoli perfetti momenti e si aspetta solo quelli,vivere un'esistenza intera per cercare dei perfetti momenti,che spreco immane!

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  2. il punto è che potrebbero anche non arrivare mai. quindi è una fortuna sempre viverli. poi le donne sono forse le presenze più cariche di senso per noi. avere una donna accanto, che rompa la boccia di solitudine... è forse la risposta esatta agli affanni della vita.

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  3. “Appoggio la mia mano sulla panchina, ma la ritiro subito: essa esiste. Questa cosa sulla quale sono seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama una panchina. L'hanno fatta apposta perché ci si possa sedere, hanno preso del cuoio, delle molle, della stoffa, si sono messi al lavoro, con l'idea di fare una sedia e quando hanno finito era questo che avevano fatto. L'hanno portata qui, in questa scatola, e ora la scatola viaggia e sballotta, con i suoi vetri tremolanti, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è una panchina, un po' come un esorcismo. Ma la parola mi rimane sulle labbra: rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Essa rimane quello che è, con la sua peluria rossa, migliaia di zampette rosse, all'aria, diritte, zampette morte. Questo enorme ventre girato all'aria, sanguinante, sballottato - rigonfio con tutte le sue zampe morte, ventre che galleggia in questa scatola, in questo cielo grigio, non è una panchina. Potrebbe benissimo essere un asino morto, per esempio, sballottato nell'acqua e che galleggia alla deriva, il ventre all'aria in un grande fiume grigio, un fiume da inondazione; e io sarei seduto sul ventre dell'asino e i miei piedi bagnerebbero nell'acqua chiara."
    J-P. Sartre

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  4. poesia, pura poesia...

    pensando alle panchine mi viene in mente quella scena inaspettata, alla fine di un film... :)



    però a questa mancano le zampette rosse...

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  5. conosci "le finestre di fronte" di simenon? non so bene perchè, ma l'associo alla nausea per atmosfera.

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