martedì 11 gennaio 2005

La lettura e il broncocele

Oggi, mentre scorrevo distrattamente le note di un libro che sto leggendo, mi sono soffermato su una citazione. Nel 1875 Giuseppe Rovani, nell'introduzione del suo romanzo storico "Cento anni", scriveva:

«Di tutte le forme della letteratura e della poesia il romanzo è la più disprezzata, e per alcune classi di persone la più aborrita. - La lettura di un romanzo si fa, per solito, di nascosto e lontano possibilmente dagli occhi de' curiosi, press'a poco come quando si commette un peccato. - Se una ragazza è in odore di gran leggitrice di romanzi, storna da sè qualunque possibilità di matrimonio; la spina dorsale deviata, il broncocele, la clorosi, l'isterismo, l'epilessia, sono in una fanciulla, contro i giovanotti assestati che voglion metter casa, spauracchi meno spaventosi dell'abitudine a legger romanzi.»

La lettura che avevo sotto gli occhi era sufficientemente noiosa da permettermi di alzare lo sguardo, fissare il vuoto, e pensare: ma sarà vero? Certo, ci sarà un motivo per cui certe persone leggono molto e altre no. Il tempo, il lavoro, l'attitudine, il piacere personale, ma sentivo che non era tutto lì. Piano piano si faceva strada in me l'idea che una gran lettrice di romanzi celi in sè un qualcosa di malato, un morbo difficile da debellare, un male subdolo come la tisi. Che lo si chiami solitudine, o infelicità, poco cambia. Nell'incertezza allora, come sana amministratrice della mia casa, come angelo del focolare, tra una persona avida di storie fantastiche e una che legge al massimo il giornale dei programmi tv, avrei dovuto scegliere senza dubbio la seconda. Ma poi, malignamente, sono venuti a farmi visita, come streghe tentatrici, le immagini delle attrici di tre dei miei film preferiti. E d'un tratto, come l'Ebenezer Scrooge di Dickens, sono stato catapultato in un viaggio in cui tutto pareva volto a farmi cambiare idea. O forse no.

La prima a farmi visita è Agnes, la protagonista di Fucking Amal. Sono fuori dalla finestra della sua cameretta, e la vedo mentre accende lo stereo e mette su l'Adagio di Albinoni. Prende un sacchetto con dentro dei rasoi, e ha tutta l'aria dell'adolescente che trova insopportabile la sua vita, e perciò vorrebbe suicidarsi. Ma ad un tratto bussa alla porta suo padre, e deve nascondere in tutta fretta le sue intenzioni. Apre la porta chiusa a chiave, prende un libro a caso per fingere un'occupazione, e dice:

Agnes: Avanti.
Papà: Ciao. Ti ho preparato una tazza di tè. Come va.
Agnes: Stavo leggendo.
Papà: Ti senti triste?
Agnes: No.
Papà: E cos'è nche stavi leggendo? Ah, Edith Sodergren.
«Il giorno sospira verso la sera...»
Come...come dice, vediamo.
«Prendimi la mano, prendimi il braccio,
prendi il desiderio delle mie spalle strette.»
Agnes: Papà...
Papà: Va bene, come vuoi. Buonanotte.

Suo papà cercava di ricordare una poesia di Edith Sodergran, "Il giorno si fa freddo". Edith era una poetessa infelice e lesbica, come la figlia, ma questo suo papà non poteva certo immaginarlo...Quei versi, che provenivano dalle sue letture giovanili, ora gli mostravano meglio di qualsiasi altra cosa il dolore di Agnes. E' strano come spesso le persone, crescendo, si dimentichino di cosa provavano, quando erano adolescenti. O forse, come direbbe qualcuno, erano altri tempi. Anche se Edith Sodergran questa poesia l'aveva scritta intorno al 1920...

«Il giorno si fa freddo verso sera...
Bevi il calore dalla mia mano,
la mia mano ha lo stesso sangue della primavera.
Prendimi la mano, prendimi il braccio bianco,
prendi il desiderio delle mie spalle strette...
Sarebbe strano sentire,
una notte sola, una notte come questa,
il tuo capo pesante contro il mio petto.»

Il testo completo de "Il giorno si fa freddo", di Edith Sodergran.

Subito dopo volai, e fu un lungo viaggio, dalla Svezia di provincia a New York. Era sera, e in sottofondo si sentiva l'aria sulla quarta corda di Bach. Mi pare nella versione di Wendy Carlos, ma non potrei giurarci. Era l'interno di un bar, uno di quei bar con i camerieri strani, le luci soffuse e quell'atmosfera di solitudine e alienazione che si trova solo a New york, o forse solo nei film di Scorsese. Perchè se ce ne fosse soltanto uno a Udine, di bar così, ci andrei tutte le sere. Si vede un ragazzo che beve un caffè da solo, leggendo un libro. Sembra elegante. Una bellissima ragazza seduta a un tavolo lì di fronte lo guarda, ma lui non se ne accorge. Ad un tratto lei gli dice qualcosa, ma deve ripetere la frase due volte perchè lui non la stava ascoltando, assorto com'era nella lettura...

Marcy: Adoro quel libro.
Adoro quel libro.
Paul: Oh, si. Ah, certo. Per me Miller è favoloso.
Marcy: «Questo non è un libro, è un prolungato insulto.
E' uno scaracchio in faccia all'arte, un calcio in culo a divinità, bellezza e verità.»
O qualcosa del genere.
Paul: Accidenti.
Marcy: Non ricordo altro, però.
Paul: E' un libro che ho già letto. Voglio dire che lo sto rileggendo.
Non mi capita quasi mai di farlo ma...non so, mi piace più questo
che Tropico del capricorno, o Plexus, o Nexus.
Lo sa che Miller si dava un bacio da solo dopo aver mangiato bene?

Avrei tanto voluto ascoltare il resto della loro conversazione, un po' per voyeurismo e un po' per curiosità. Chissà com'è andata a finire, poi. Ma ad un certo punto ho cominciato a sentire i suoni sempre più lontani. Sono solo riuscito a capire che stavano parlando del cameriere, un tipo un po' strambo, e di fermacarte a forma di panino al formaggio, o qualcosa del genere. Chissà poi com'erano, quei fermacarte. A me sarebbero piaciuti sicuramente.

Macy aveva citato Miller, e non potevo fare a meno di immaginare me adolescente, mentre leggevo Tropico del Cancro dopo aver visto Fuori Orario di Scorsese. Lo leggevo nei bar, perchè qualche ragazza mi abbordasse con quella scusa, come nel film. Nessuna ragazza mi parlò, ma in ogni caso in quel momento sognavo solo una vita da clochard disperato nei bassifondi di Parigi, e lì erano contemplate al massimo delle prostitute fiaccate da una vita di stenti. Ma come potevo resistere alla forza, alla potenza di parole come queste:

«Non ho né soldi, né risorse, né speranze. Sono l'uomo piú felice del mondo. Un anno, sei mesi fa, pensavo d'essere un artista. Ora non lo penso piú, lo sono. Tutto quel che era letteratura, mi è cascato di dosso. Non ci sono piú libri da scrivere, grazie a Dio.
E questo allora? Questo non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No, questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all'Arte, un calcio alla Divinità, all'Uomo, al Destino, al Tempo, all'Amore, alla Bellezza... a quel che vi pare.»

La prima pagina di Tropico del Cancro, di Henry Miller.

Era tempo di ripartire, e così rieccomi in un lampo in Europa, in Francia esattamente. Sembrava Parigi, proprio dov'era ambientato Tropico del cancro. Vedevo una camera, in un palazzo, c'era un ragazzo biondo che leggeva un libro e una ragazza che camminava nella stanza, e di tanto in tanto lo guardava. Lui comincia a leggere ad alta voce, e lei lo ascolta. E' davvero bellissima, altro che le prostitute che frequentava Miller... Mi sembra di riconoscere quelle parole, è un racconto di Edgar allan Poe, "Il Ritratto ovale".

Luigi: «Scorsi così nella vivida luce un quadro che prima m'era affatto sfuggito. Era il ritratto di una fanciulla, tenera eppur rigogliosa, quasi donna ormai. Diedi al quadro un'occhiata frettolosa, e poi chiusi gli occhi. Perché lo facessi, neppure io, dapprima, riuscii a comprenderlo. Ma mentre le mie palpebre restavano chiuse, analizzai rapidamente la ragione per cui le tenessi serrate a quel modo. Era stato un moto impulsivo per guadagnar tempo e pensare: per accertarmi che la vista non mi avesse ingannato; per acquietare la mia immaginazione, prima di volgere un altro sguardo, più calmo e sicuro. Di lì a pochi momenti ripresi a fissare il quadro.
Il ritratto, l'ho detto, era quello di una fanciulla. Solo la testa e le spalle, eseguite, per usare la denominazione tecnica, alla maniera di «vignette» molto simile allo stile delle teste predilette da Sully. Le braccia, il seno, fin le punte dei capelli irraggianti si fondevano impercettibilmente con l'ombra vaga ma densa che faceva da sfondo.
Come opera d'arte, nulla poteva essere più ammirevole del dipinto in quanto tale. Ma non era pensabile che a destare in me un'impressione così subitanea e violenta fosse stato l'alto livello dell'esecuzione o l'immortale bellezza del viso. E ancor meno era ammissibile che la mia immaginazione, strappata dal dormiveglia, avesse scambiato la testa per quella di una persona viva.
Infine, scoperto il vero segreto del suo effetto, mi abbandonai supino sul letto. Avevo scoperto che l'arcana magia del dipinto stava nell'espressione così vivida, così perfettamente conforme alla vita stessa.»

Nana: E' tuo questo libro?
Luigi: No, l'ho trovato qui.
Nana: Me lo dai?
Luigi: E' la nostra storia: un pittore che fa un ritratto del suo amore.
Vuoi che continui?
Nana: Si.

Luigi: «E, in verità, alcuni che avevano visto il ritratto parlavano sommessamente della sua somiglianza come di meraviglia grande, prova non meno dell'arte del pittore che del suo profondo amore per colei che così mirabilmente andava dipingendo. Ma alla fine, avvicinandosi l'opera al suo compimento, a nessuno fu più concesso di accedere alla torretta; poiché il pittore, invasato dall'ardore della sua creazione, di rado alzava gli occhi dalla tela, fosse anche per guardare il volto della sposa. E non voleva vedere che i colori che stendeva sulla tela erano tratti dalle guance di colei che gli sedeva accanto. E quando molte settimane furono trascorse e pochissimo restava da fare ancora - solo una pennellata sulla bocca e un tocco di colore all'occhio, lo spirito di lei guizzò ancora come la fiamma entro il becco di una lampada. E la pennellata fu data, e fu applicato il tocco di colore; e, per un attimo, il pittore ristette rapito davanti all'opera che aveva portato a termine; ma un attimo dopo, mentre ancora la contemplava, tremò e impallidì e inorridito, esclamando: "Questa è proprio la Vita!" bruscamente si volse a guardare l'amata: Ella era morta! ».

Il testo integrale de "Il Ritratto ovale", di Edgar allan Poe.

Il mio viaggio, però, era davvero finito. E i palazzi di Parigi svanivano nella nebbia, per lasciare il posto allo scaffale della biblioteca civica, proprio di fronte a me. Scossa la testa per riprendere coscienza del tutto, mi guardo in giro. Due banchi più in là, rivolta verso di me, c'è una ragazza meravigliosa. Ha i capelli lunghi fino alle spalle, rossi. Alza la testa dal libro e mi guarda, ma forse guarda solo da questa parte. Poi china nuovamente lo sguardo, assorta. Mentre immagino di baciarle il collo delicatamente proprio lì, seduta al tavolo di una biblioteca, capisco in un istante il senso di quel viaggio. Mi sono sempre piaciute le ragazze che leggono. Certo, corro il rischio che mi capiti un'adolescente lesbica che pensa al suicidio, o una misteriosa sconosciuta che mi abborda in un bar e che nasconde preoccupanti bruciature, o una prostituta parigina che non ha mai amato veramente nessuno... Ma alla fine ognuno si sceglie la sua condanna, a questo mondo. E adesso è proprio ora di finire questo libro.

6 commenti:

  1. decisamente...cool!

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  2. dov'è il signor "vergogna"?
    ancora non è passato?

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  3. bellissimo!
    fabio

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  4. Miller lo adoro. In tutte le salse.
    e il Fucking Amal è un piccolo film davvero grande. Grande per le emozioni semplici e intense che riesce a comunicare. L'adolescenza non è mai una via semplice e lineare...

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  5. Stellare, as usual.

    La saga continua su icepink.it/guestbook

    Chi non c'è non ci sarà.

    Funk

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