sabato 22 gennaio 2005

L’io, lei e l’altro

Quando un anno mi fu consigliata la lettura de L'eterno fanciullo, l'archetipo del puer aeternus di Marie-Louise von Franz (1992, Red Edizioni, 340 pp.), ero sicuro che ne sarei rimasto colpito, e così è stato. Non c'era nulla che non sapessi già, ma la schiettezza della terminologia psicanalitica mi faceva percepire, per la prima volta in maniera così lucida e analitica, la mia condizione mentale come se fosse afflitta da una vera e propria malattia da individuare, combattere e in parte debellare. Chissà, forse era già un timido passo in avanti, nel tentativo di diventare una persona migliore. Certo che quando si comincia a leggere un libro perchè incuriositi da un'interpretazione psicanalitica del Piccolo Principe e poi ci si ritrova di fronte a se stessi, beh, non so proprio se è un buon segno... Ne trascrivo alcuni brani, ad uso e consumo dei curiosi ma soprattutto di chiunque vi si riconosca, almeno un po'.

In generale, identifichiamo con l'archetipo del Puer Aeternus l'uomo che rimane troppo a lungo nei limiti di una psicologia adolescenziale, che conserva cioè anche in età adulta i tratti caratteristici del giovane di diciassette o diciotto anni.

Le due manifestazioni tipiche dell’uomo che soffre di uno spiccato complesso materno sono, come ha sottolineato Carl Gustav Jung, l'omosessualità e il dongiovannismo. In quest'ultimo caso, l'uomo ricerca in ogni donna una figura di madre, l'immagine della donna assolutamente perfetta, pronta a concedere tutto all'uomo. Ciò che egli cerca è una dea madre, e ogni volta sarà costretto a scoprire che la donna con cui ha instaurato un rapporto non è che un normalissimo essere umano. Svanito anche il fascino dell'esperienza sessuale, egli la lascia deluso, solo per proiettare nuovamente la stessa immagine su un'altra donna. Ancora e ancora egli cerca la donna materna, che lo tenga fra le braccia e soddisfi ogni suo desiderio. Spesso, inoltre, l'atteggiamento del Don Giovanni è permeato del romanticismo tipico dell'adolescenza.

L'uomo bloccato da un complesso materno si troverà sempre a dover combattere contro la propria tendenza a rifugiarsi nella condizione del Puer Aeternus. E quale sarà allora la cura? Che cosa può fare un uomo quando scopre di soffrire di un complesso materno, che è un qualcosa che gli è capitato dall'esterno, qualcosa che non ha causato lui stesso? In Simboli della trasformazione Jung propone una terapia: il lavoro. Ma nel momento stesso in cui lo propone, un attimo di esitazione lo coglie: «E’ realmente così semplice? E’ realmente questa l’unica cura? Si può porre la questione in questi termini?» II lavoro è proprio quella parola sgradevole che nessun Puer Aeternus vuole sentir pronunciare, mentre Jung giunge alla conclusione che si tratta della risposta giusta.

In effetti, il Puer Aeternus è capace di lavorare (così come lo sono tutti i primitivi o le persone provviste di un Io debole) quando il lavoro lo affascina o quando si trova in uno stato di grande entusiasmo. In quel caso, allora, egli può lavorare anche per ventiquattr'ore dì seguito, o addirittura di più, fino a che non crolla. Ciò che non riesce a fare, invece, è lavorare in una giornata uggiosa e triste, quando il lavoro è noioso ed è necessario uno sforzo su se stessi per compierlo.

Il puer ha una grandissima ricchezza interiore, è dotato di una ricca fantasia, ma non la lascia fluire nella vita. Rifiuta di accettare la realtà per quella che è, ed ostacola la vita stessa. Spesso questo tipo di persona, maschio o femmina, si ciondola, indugia troppo su fantasie ed emozioni. Spreca la capacità di vivere, perchè la sua stessa ricchezza interiore, le fantasie, possono anche soffocarlo. Con questo tipo si ha la sensazione di trovarsi vicino ad una persona piena di potenzialità che non trova però il modo di realizzare. Spesso tali persone sono pervase da un senso di noia totalizzante, sono paralizzate da una forma di pigrizia, e tendono a perdersi nel mondo illusorio della fantasia. Ma la noia riflette proprio il sentimento soggettivo di non essere dentro il flusso della vita. La noia è sintomo di vita trattenuta. Le persone che trovano difficile avvicinarsi al proprio centro sperimentano se stesse solo quando soffrono.

Come uscire dalla vita fantastica dell'infanzia senza tuttavia smarrirne il valore? Come diventare adulti senza perdere il senso della totalità, della creatività e quella sensazione di essere realmente vivi che si prova durante la giovinezza? Si può anche essere cinici a questo proposito, e affermare che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, che qualcosa deve essere sacrificato. Sulla base dell'esperienza, però, penso che questo non sia propriamente corretto. Non voler rinunciare al mondo dell'infanzia è del tutto legittimo. Il problema è come crescere e diventare adulti senza perderlo.

3 commenti:

  1. mah...non so mica se val la pena di uscire dal modo della fantasia...in fondo è l'unica cosa che ci salva dalla realtà,qualunque essa sia...comunque...
    VERGOGNA!!

    RispondiElimina
  2. ma jung propone il lavoro perchè così almeno impegnati non ci si fa seghe mentali?Ci sono modi migliori e più divertenti per far finta che certi aspetti della nostra realtà interiore non ci siano...x alcuni il lavoro infatti è solo una specie di droga che distrae...meglio direttamente la droga a quel punto... :D
    VERGOGNA

    RispondiElimina
  3. http://www.theroseking.net/animehub/nausicaa/skullmtn.gif(Mr Duffy :)

    RispondiElimina