Ogni tanto, più del calendario, sono gli avvenimenti delle nostre vite a scandire il passaggio dei giorni, dei mesi, degli anni. Oggi non è il mio compleanno, non è il primo giorno dell'anno, nè l'ultimo, ma prima di addormentarmi, ieri sera, ho pensato: ho un anno di più.
Proprio l'estate scorsa, rivedendo Jules e Jim,
mi colpì molto un dialogo tra Albert, Jules e Jim, reduci dalla guerra.
Jules: Quello che e' brutto della guerra e' che priva l'uomo della sua lotta individuale.
Jim: E' vero, pero' io credo che ognuno possa lottare lo stesso, a parte la guerra. Mi ricordo un artigliere che ho conosciuto all'ospedale. Tornando da una licenza conobbe una ragazza in treno. Parlarono fra Nizza e Marsiglia. Sul marciapiede della stazione lei gli diede l'indirizzo. E per ben due anni, ogni giorno, lui le scrisse con frenesia dalla trincea, su carta da pacchi, al lume delle candele, mentre piovevano le granate, lettere sempre piu' intime. La prima cominciava con "cara signorina" e finiva con "i miei omaggi rispettosi". Nella terza la chiamava "fatina mia" e le domando' una fotografia. Poi divento' "mia adorata". Poi "le bacio le mani", poi "le bacio la fronte". Piu' tardi le descrive la fotografia che lei gli ha mandato, le parla del seno che ha intravisto sotto l'accappatoio. E poi passa a darle del tu: "ti amo tremendamente". Un giorno scrive alla madre della ragazza per chiederle la mano. E cosi si fidanza ufficialmente senza averla mai rivista.
La guerra continua, e le lettere diventano sempre piu' intime: "ti sogno sempre, amore mio", "carezzo i tuoi seni adorabili e ti stringo tutta nuda a me". Lei risponde un po' fredda, lui si arrabbia, la prega di non fare la civetta perche' lui puo' morire da un momento all'altro, ed era vero.
Vedi, Jules, per poter capire questa specie di amori epistolari bisogna aver conosciuto la violenza della guerra di trincea. Quella follia collettiva, la presenza della morte ad ogni minuto. Ecco un uomo che pur partecipando alla grande guerra ha saputo combattere ugualmente la sua piccola guerra privata. E conquistare completamente una donna da lontano solo con la persuasione. Quando arrivo' all'ospedale era come lei (Jim guarda verso Albert), ferito alla testa, ma non ebbe fortuna. E' morto dopo la trapanazione, la vigilia dell'armistizio.
Nella sua ultima lettera a quella ragazza scriveva: "i tuoi seni sono le sole spolette che amo". Le mostrero' delle fotografie di quell'artigliere: sfogliandole velocemente sembra che si muovano.
Anche Jules, durante la guerra, aveva scritto delle bellissime lettere a Cathe, e tutta la seconda parte del film è contraddistinta dallo scambio epistolare tra Jim e Cathe e dai malintesi generati da quel "dialogo tra sordi". Lettere bellissime, appassionate, lettere che possono convincere le persone a provare, a rinunciare, ad avvicinarsi, ad allontanarsi. Alla fine, però, come si fa a non pensare a quel povero artigliere, che con le sue lettere sperava solo di avvicinarsi a una realtà che, mentre scriveva, gli sembrava già meno lontana. Lettere pericolose, specchio di illusioni. Lettere che, una volta spedite, finiscono per popolare il cassetto di una scrivania, uno scaffale di legno, o una scatola, uno scrigno da cui tirarle fuori quando si sente la mancanza di chi le ha scritte, in quel preciso momento che poteva cambiare le nostre vite, se le avessimo lette in maniera diversa. Cambiano le persone e i sentimenti, al passare del tempo, mentre le lettere restano lì, immutabili, a descrivere quegli attimi. Forse è per questo che a volte, sfogliandole velocemente una dopo l'altra, sembrano delle fotografie sfuocate di un pensiero, reali come una vecchia immagine sbiadita, mai accadute nella realtà ma non per questo meno vivide, davanti ai nostri occhi.
... che film !!!
RispondiEliminaIl mai estinto sogno che d'istinto porta l'Uomo ad agognare l'Immortalità guida i suoi pensieri ad incarnarsi leggeri in parole un po'più pesanti della sola voce. Così parole più profonde diventano simili a sacri uffici il cui culto, scrivendone, rimettiamo alle nostre azioni, poichè sentiamo come sacra la nostra stessa natura, quando questa è dolorosa e profonda, od è felice. Rinnegare quel dio d'inchiostro, o siliceo quale appare in questo blog, è una bestemmia che mai avremmo pronunciato all'atto di redarne la Santa Parola, noi, di noi stessi profeti... lo scrivere alle volte ha lo stesso peso del giurare..
RispondiEliminabellissimo questo dialogo come tutto il film. Io adoro Truffaut e Jules e Jim è certamente una delle sue opere imprescindibili, uno di quei film a cui si torna sempre con immenso piacere.
RispondiEliminail dialogo che tu riportavi mi ricorda anche di certe poesie dell'Allegria di Ungaretti, quando il soldato-poeta, nell'orrore dei combattitmenti cerca di legarsi alle parole come un'ultima ancora di salvataggio in mezzo a ll'orrore.